Commento

La riforma di Papa Francesco: tutto parte dalla conversione dei cuori

«Santità, io vorrei credere ma non ci riesco. Ho provato anche a leggere la Bibbia. Sono partito dall’inizio ma poi tutti quei nomi, quelle guerre, quel sangue. Non ci ho capito più niente e ho chiuso». Comunità di San Carlo del Centro Italiano di Solidarietà don Mario Picchi, a due passi dal Palazzo Apostolico di Castel Gandolfo. E’ un «venerdì della misericordia» del Giubileo straordinario indetto ma soprattutto incarnato da Papa Francesco che, una volta a mese, durante tutto l’Anno Santo ha compiuto un gesto di vicinanza a coloro che la società contemporanea considera «scarti». E’ un giovane che si sta disintossicando dalla droga a confidarsi con Bergoglio insieme agli altri 59 compagni di viaggio. «Prendi uno dei quattro Vangeli – gli suggerisce il Papa con fare paterno come un buon catechista che prepara i suoi ragazzi alla prima comunione – e leggine un passo al giorno. Non di più. Poco per volta. E medita su quel passo. Cerca di capire cosa il Signore ti sta dicendo, sta dicendo alla tua vita. A te che ora ti trovi in questa comunità percorrendo questo cammino. E se ti capita di addormentarti non ti preoccupare: capita anche a me, spesso quando mi trovo davanti al Tabernacolo la sera. Siamo umani e siamo anche stanchi!». Risata generale suscitata da un pastore la cui cifra è proprio questa straordinaria capacità di farsi prossimo a tutti coloro che gli tendono la mando.

Francesco non è il buon amministratore chiamato dalla governance ecclesiale a rimettere i conti della Santa Sede in ordine. Questa visione aziendalistica e laica, come se la Chiesa fosse una Ong di successo, appartiene alle due stagioni di Vatileaks. Ma questa non è la visione di Francesco. E spesso, purtroppo, anche chi gli è vicino, chi collabora con lui, chi crede di essere suo fedele seguace, si lascia trasportare da una gestione pseudo funzionalista e pseudo efficientista del Vaticano che nulla ha a che fare con la Chiesa in uscita, accidentata, ferita sognata e incarnata dal Papa latinoamericano.

Nel monumentale discorso per gli auguri natalizi alla Curia romana Francesco ha elencato i criteri della sua riforma. Un’opera che, come ha efficacemente chiosato subito il suo fedelissimo e capacissimo Segretario di Stato, il cardinale Pietro Parolin, ha il suo inizio e la sua fine essenzialmente nella conversione che partendo dai cuori arriva alle strutture arrugginite, corrose e anacronistiche della Chiesa. Sono principalmente dodici i criteri guida della riforma indicati da Bergoglio: individualità; pastoralità; missionarietà; razionalità; funzionalità; modernità; sobrietà; sussidiarietà; sinodalità; cattolicità; professionalità; gradualità.

Ma tutto parte dall’individualità ovvero dalla conversione personale: «Torno a ribadire – ha affermato Francesco – l’importanza della conversione individuale senza la quale saranno inutili tutti i cambiamenti nelle strutture. La vera anima della riforma sono gli uomini che ne fanno parte e la rendono possibile. Infatti, la conversione personale supporta e rafforza quella comunitaria. Esiste un forte legame di interscambio – ha aggiunto il Papa – tra l’atteggiamento personale e quello comunitario. Una sola persona può portare tanto bene a tutto il corpo o potrebbe danneggiarlo e farlo ammalare. E un corpo sano è quello che sa recuperare, accogliere, fortificare, curare e santificare le proprie membra».

E dalla conversione personale si passa alla pastoralità ovvero alla conversione pastorale: «Richiamando l’immagine del pastore – ha sottolineato Bergoglio – ed essendo la Curia una comunità di servizio, fa bene anche a noi, chiamati ad essere Pastori nella Chiesa, lasciare che il volto di Dio Buon Pastore ci illumini, ci purifichi, ci trasformi e ci restituisca pienamente rinnovati alla nostra missione. Che anche nei nostri ambienti di lavoro possiamo sentire, coltivare e praticare un forte senso pastorale, anzitutto verso le persone che incontriamo tutti i giorni. Che nessuno si senta trascurato o maltrattato, ma ognuno possa sperimentare, prima di tutto qui, la cura premurosa del Buon Pastore. Dietro le carte ci sono persone. L’impegno di tutto il personale della Curia deve essere animato da una pastoralità e da una spiritualità di servizio e di comunione, poiché questo è l’antidoto contro tutti i veleni della vana ambizione e dell’illusoria rivalità. In questo senso il beato Paolo VI ammonì: «Non sia pertanto la Curia Romana una burocrazia, come a torto qualcuno la giudica, pretenziosa ed apatica, solo canonistica e ritualistica, una palestra di nascoste ambizioni e di sordi antagonismi, come altri la accusano; ma sia una vera comunità di fede e di carità, di preghiera e di azione; di fratelli e di figli del Papa, che tutto fanno, ciascuno con rispetto all’altrui competenza e con senso di collaborazione, per servirlo nel suo servizio ai fratelli ed ai figli della Chiesa universale e della terra intera».

Per capire Bergoglio è essenziale riprendere e meditare un testo prezioso portato alla luce dall’editorialista di Avvenire Stefania Falasca che conosce il pensiero dell’uomo diventato Papa come pochi al mondo. Si tratta del credo di Francesco scritto nel 1969 poco prima di essere ordinato sacerdote e riscritto dopo l’elezione al pontificato. Un testo che per certi aspetti ricorda molto il credo del popolo di Dio scritto dal beato Paolo VI, anche se non tutto di suo pugno, il 30 giugno 1968 nel centenario del martirio degli apostoli Pietro e Paolo. Quello di Bergoglio è certamente più intimistico e rivelatore del suo identikit spirituale: «Voglio credere in Dio Padre, che mi ama come un figlio, e in Gesù, il Signore, che ha infuso il suo spirito nella mia vita per farmi sorridere e portarmi così al regno di vita eterna. / Credo nella mia storia, che è stata trapassata dallo sguardo di amore di Dio e, nel giorno di primavera, 21 settembre, mi ha portato all’incontro per invitarmi a seguirlo. / Credo nel mio dolore, infecondo per l’egoismo, nel quale mi rifugio. / Credo nella meschinità della mia anima, che cerca di inghiottire senza dare… senza dare. / Credo che gli altri siano buoni, e che devo amarli senza timore, e senza tradirli mai per cercare una sicurezza per me. / Credo nella vita religiosa. / Credo di voler amare molto. / Credo nella morte quotidiana, bruciante, che fuggo, ma che mi sorride invitandomi ad accettarla. / Credo nella pazienza di Dio, accogliente, buona come una notte d’estate. / Credo che papà sia in cielo insieme al Signore. / Credo che anche padre Duarte [il sacerdote che lo confessò il 21 settembre 1953, ndr]»«‹Â»Â«‹Â»Â«‹Â»Â«‹ stia lì intercedendo per il mio sacerdozio. / Credo in Maria, mia madre, che mi ama e mai mi lascerà solo. E aspetto la sorpresa di ogni giorno nel quale si manifesterà l’amore, la forza, il tradimento e il peccato, che mi accompagneranno fino all’incontro definitivo con quel volto meraviglioso che non so come sia, che fuggo continuamente, ma che voglio conoscere e amare. Amen».

(Francesco Antonio Grana/Faro di Roma)

5 Gennaio 2017 | 18:00
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Papa (1254), riforma (41)
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