Chiesa

«La riforma non è un lifting. Temiamo le macchie, non le rughe»

«La riforma della Curia non è un lifting», un’operazione di chirurgia plastica «per togliere le rughe», perché «non sono le rughe che nella Chiesa si devono temere, ma le macchie!». E le riforme incontrano anche «resistenze malevole, che germogliano in menti distorte»: una «resistenza» che «si nasconde dietro le parole giustificatrici ?e, in tanti casi, accusatorie, rifugiandosi nelle tradizioni, nelle apparenze, nelle formalità». Lo ha detto Papa Francesco nel discorso alla Curia romana in occasione dello scambio di auguri natalizi. Nel 2014 aveva parlato delle «malattie della Curia», l’anno scorso delle virtù necessarie ai curiali. Ora dopo la diagnosi arrivano le prescrizioni mediche, cioè i criteri che hanno guidato la riforma della Curia, iniziata da più di tre anni e cantiere ancora aperto.

Dio ha scelto di nascere piccolo

All’inizio del suo intervento Bergoglio ha ricordato il senso del Natale con le parole di san Macario, monaco del IV secolo: «L’infinito, inaccessibile e increato Dio per la sua immensa e ineffabile bontà ha preso un corpo e vorrei dire si è infinitamente diminuito dalla sua gloria». Il Natale, quindi, «è la festa dell’umiltà amante di Dio, del Dio che capovolge l’ordine del logico scontato, l’ordine del dovuto, del dialettico e del matematico. In questo capovolgimento giace tutta la ricchezza della logica divina che sconvolge la limitatezza della nostra logica umana». Citando Romano Guardini e Paolo VI, il Papa ha detto che «in realtà, Dio ha scelto di nascere piccolo , perché ha voluto essere amato . Ecco come la logica del Natale è il capovolgimento della logica mondana, della logica del potere, della logica del comando, della logica fariseistica e della logica causalistica o deterministica»

Il senso della riforma

La riforma, ha spiegato il Papa, significa rendere la Curia «con-forme» all’annuncio del Vangelo e ai «segni del nostro tempo», e al tempo stesso più «con-forme» al suo fine, che è quello di collaborare «al ministero proprio» del Pontefice e quindi di sostenerlo «nell’esercizio della sua potestà singolare, ordinaria, piena, suprema, immediata e universale». Un passaggio accompagnato da abbondanti note e citazioni a piè pagina, nelle quali si ricorda quanto affermato dal Concilio, e cioè che «la Curia è un organismo di aiuto per il Papa» e che il servizio degli organismi curiali «è sempre svolto» in nome e sotto l’autorità del Pontefice. Si cita quindi Paolo VI, il quale sottolineava il rapporto «essenziale» della Curia con l’«esercizio dell’attività apostolica del Papa» che ne rappresenta la sua ragion d’essere. Concetti ribaditi da Giovanni Paolo II, il quale scriveva che la Curia «vive e opera in quanto è in relazione col ministero petrino e su di esso si fonda». Sottolineature evidentemente non casuali.

La riforma non è un lifting

Francesco ribadisce poi che la riforma è un processo di crescita e soprattutto di conversione. Non ha «un fine estetico», non è un lifting o un maquillage «per abbellire l’anziano corpo curiale», e nemmeno un’operazione di chirurgia plastica per togliere le rughe, anche perché «non sono le rughe che nella Chiesa si devono temere, ma le macchie!». Il Papa spiega che «la riforma sarà efficace solo e unicamente se si attua con uomini «rinnovati» e non semplicemente con uomini «nuovi»». Occorre dunque «portare i membri della Curia a rinnovarsi spiritualmente, umanamente e professionalmente». Non basta cambiare le persone, serve «la conversione delle persone», «non basta una «formazione permanente», occorre anche e soprattutto una conversione e una purificazione permanente». Perché senza un «mutamento di mentalità lo sforzo funzionale risulterebbe vano».

Difficoltà normali e resistenze malevole

In questo percorso, ha spiegato Francesco, «risulta normale, anzi salutare, riscontrare delle difficoltà» e delle resistenze. Quelle «aperte, che nascono spesso dalla buona volontà e dal dialogo sincero», quelle «nascoste, che nascono» nei cuori «impauriti o impietriti che si alimentano dalle parole vuote del gattopardismo spirituale; di chi a parole si dice pronto al cambiamento ma vuole che tutto resti come prima esistono anche le resistenze malevole, che germogliano in menti distorte e si presentano quando il demonio ispira intenzioni cattive (spesso travestite da agnelli)», anche se il Papa ha letto «angelli». «Questo ultimo tipo di resistenza – ha continuato – si nasconde dietro le parole giustificatrici e, in tanti casi, accusatorie, rifugiandosi nelle tradizioni, nelle apparenze, nelle formalità». Ma il Papa sottolinea anche che «l’assenza di reazione è segno di morte!» e quindi tutte le resistenze «sono necessarie e meritano di essere ascoltate, accolte e incoraggiate a esprimersi». La riforma è un processo che «deve essere vissuto con fedeltà all’essenziale, con continuo discernimento, con evangelico coraggio», con ascolto, azione, silenzio, con «ferme decisioni», con tanta preghiera e umiltà, «con concreti passi in avanti e – quando risulta necessario – con passi anche indietro» (un riferimento, questo, alle correzioni in corso d’opera su alcune decisioni prese), con «responsabile potestà, con incondizionata obbedienza» ma soprattutto abbandonandosi «alla sicura guida dello Spirito Santo».

I criteri

Francesco elenca quindi i dodici criteri della riforma. Individualità, cioè «conversione personale», senza la quale «saranno inutili tutti i cambiamenti nelle strutture». Pastoralità, così che «nessuno si senta trascurato o maltrattato». Una «spiritualità di servizio e di comunione» è l’antidoto «contro tutti i veleni della vana ambizione e dell’illusoria rivalità». Missionarietà, cioè «Cristocentrismo», perché «senza vita nuova e autentico spirito evangelico », qualsiasi nuova struttura «si corrompe in poco tempo». Razionalità, per «per evidenziare che ogni Dicastero ha competenze proprie» che «devono essere rispettate ma anche distribuite» secondo «efficacia ed efficienza». Funzionalità: gli accorpamenti servono a dare ai nuovi dicastero «una rilevanza maggiore (anche esterna)» e ad avere «una maggiore funzionalità», con revisione continua  «dei ruoli, delle competenze e delle responsabilità del personale». Modernità, cioè «aggiornamento», la «capacità di leggere e di ascoltare i «segni dei tempi». Sobrietà, per snellire e semplificare, e «per una corretta e autentica testimonianza». Sussidiarietà, con il riordinamento o il trasferimento di alcune competenze «per raggiungere l’autonomia».

Laici e donne

Francesco indica l’importanza del «rispetto dei principi della sussidiarietà e della razionalizzazione nel rapporto con la Segreteria di Stato» affinché «sia l’aiuto diretto e più immediato del Papa. Ciò anche per un migliore coordinamento dei vari settori dei Dicasteri e degli Uffici della Curia». Sinodalità, che deve diventare sempre più abituale nel lavoro della Curia, sia con le riunioni dei capi dicastero in presenza del Papa, sia all’interno dei vari dicasteri, «dando particolare rilevanza al Congresso e maggiore frequenza almeno alla sessione ordinaria». Cattolicità, cioè «l’assunzione di personale proveniente da tutto il mondo, di diaconi permanenti e fedeli laici», la cui scelta «deve essere attentamente effettuata sulla base della loro ineccepibile vita spirituale e morale e della loro competenza professionale». È opportuno «prevedere l’accesso a un numero maggiore di fedeli laici». Di «grande importanza» anche «la valorizzazione del ruolo della donna e dei laici nella vita della Chiesa e loro integrazione nei ruoli guida dei dicasteri».  Professionalità, cioè  «formazione permanente del personale». Dall’altra parte, spiega Francesco, «è indispensabile l’archiviazione definitiva della pratica del promoveatur ut amoveatur», cioè della promozione di chi si vuole spostare da quel posto, definito, con un’aggiunta a braccio, «un cancro». Infine, Gradualità, cioè discernimento, che richiede «verifica, correzioni, sperimentazione, approvazioni ad experimentum. Dunque, in questi casi non si tratta di indecisione ma della flessibilità necessaria per poter raggiungere una vera riforma».

L’elenco dei passi compiuti

Segue quindi l’accurato elenco di quanto realizzato finora: il Consiglio del cardinali (C9); le commissioni referenti sullo Ior e sull’organizzazione della struttura economico-amministrativa; la nuova giurisdizione degli organi giudiziari vaticani in materia penale; il Comitato di sicurezza finanziaria; il consolidamento dell’AIF; l’istituzione della Segreteria e del Consiglio per l’Economia, e del Revisore generale; l’istituzione della commissione per la tutela dei Minori; il trasferimento della sezione ordinaria dell’Apsa alla Segreteria per l’Economia; gli statuti dei nuovi organismi economici; l’istituzione della Segreteria per la Comunicazione e il suo statuto; la riforma del processo canonico ?per le cause di dichiarazione di nullità del matrimonio; la normativa per prevenire negligenze dei vescovi ?nei casi di abusi sessuali compiuti su minori dal clero; l’istituzione dei nuovi dicasteri per i laici, la famiglia e la vita, e quello per il servizio dello sviluppo umano integrale; lo statuto dell’Accademia per la vita?.

Le parole del monaco

Il Papa ha concluso tornando sul tema del Natale, con le parole di un monaco contemporaneo recentemente scomparso, Matta el Meskin che rivolgendosi al Bambino di Betlemme ha detto: « Donaci di non crederci grandi nelle nostre esperienze. Donaci, invece, di diventare piccoli come te affinché possiamo esserti vicini e ricevere da te umiltà e mitezza in abbondanza… Il mondo è stanco e sfinito perché fa a gara a chi è il più grande».

Il regalo

Al termine del discorso, il Papa a braccio ha parlato del dono che quest’anno ha voluto fare ai porporati. «Quando due ani fa quando ho parlato delle malattie della Curia, uno di voi è venuto a dirmi: «Devo andare in farmacia o a confessarmi?». «Tutte e due!» Ho detto. Poi il cardinale Brandmüller mi ha guardato negli occhi e mi ha detto: Acquaviva! Non ho capito subito, poi mi sono ricordato di un libro di padre Acquaviva (superiore dei gesuiti nel Cinquecento, ndr) che aveva scritto un libro che noi studenti leggevamo in latino e che i padri spirituali ci davano da leggere. Era dedicato alle malattie dell’anima, «Accorgimenti per curare le malattie dell’anima». Da qualche mese è stato pubblicato con un’edizione molto buona e una bellissima traduzione, con un’introduzione a cura di padre Raffo, da poco scomparso». È interessante notare come Francesco abbia voluto citare il cardinale Brandmüller, uno dei quattro porporati firmatari dei «dubia» sull’«Amoris laetitia».

(Andrea Tornielli/Vatican Insider)

22 Dicembre 2016 | 11:58
Tempo di lettura: ca. 6 min.
Papa (1255), riforma (41)
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