La riflessione ai Vangeli di domenica 17 ottobre

Calendario romano

Anno B / Mc 10, 35-45 / XXIX Domenica del Tempo ordinario

Non c’è primato se non nel donarsi

di Dante Balbo*

Abbiamo un Dio onnipotente, generoso e buono, misericordioso e ricco di grazia. Abbiamo un fratello che ben conosce il patire, che ha condiviso tutto con noi, che è morto per noi, anzi, per noi è risuscitato.
Siamo tentati allora a volte di sentirci in diritto di chiedere e, quando non veniamo esauditi, siamo delusi, tristi, a volte così arrabbiati da abbandonare la fede che ci aveva permesso di fare la nostra richiesta.
Non è una novità del nostro tempo, ci ricorda don Willy Volonté commentando il Vangelo di questa domenica, in cui due fratelli, apostoli, in altro vangelo spinti dalla madre ambiziosa per loro, chiedono un posto speciale nel governo messianico: oggi l’equivalente di primo ministro e ministro degli esteri.
Gesù non li rimprovera, ma pone loro una domanda cruciale: «Siete capaci di bere il calice che io bevo?», quello stesso calice che accetterà dal Padre nell’orto degli ulivi.
Al di là della vicenda particolare, il maestro ne approfitta per riportare l’ambizione anche legittima nella logica che lui stesso applica in modo ferreo e conseguente: non c’è primato se non nel dono.
Il dono non è qualcosa di astratto. Di Gesù dice la lettera ai Filippesi che svuotò sé stesso assumendo la condizione di schiavo, colui che serve senza discutere, che prima dei diritti accoglie il servizio. Non è né Gesù, né la Chiesa a promuovere la schiavitù, che anzi fu condannata fin dall’inizio, anche se ci vollero 19 secoli perché fosse abolita e oggi si ripete con nuove agghiaccianti forme, ma conclude don Willy che forse oggi «vi sono lacune gravi nel corpo sociale e politico, perché pochi sentono di essere servitori degli altri: si vogliono tanti diritti e si riconoscono pochi doveri. Gesù, il Signore di tutti, è venuto nel mondo non per essere servito, ma per servire». Nel giardino del Re, quello della scelta decisiva, «l’erba voglio», non c’è.
*Dalla rubrica televisiva Il Respiro spirituale di Caritas Ticino in onda su TeleTicino e online su YouTube

Calendario ambrosiano

Anno B / Gv 10, 22-30 / Domenica della Dedicazione del Duomo

Credere è appartenere a una comunità viva

di don Giuseppe Grampa

Il 20 ottobre 1577 San Carlo celebrava la Dedicazione del Duomo di Milano e consacrava il magnifico edificio iniziato due secoli prima, facendone la casa del popolo di Dio raccolto attorno al suo Vescovo. Da allora la terza domenica di ottobre ricorda quel gesto e soprattutto il nostro essere Chiesa, anche se per molti questa appartenenza è problematica. Quante volte incontro persone che mi dichiarano: «Credo in Dio, credo in Gesù, nel suo Vangelo che mi affascina ma proprio non posso credere nella Chiesa». In questi casi io rispondo: «Io credo nella Chiesa e la amo per una semplice, decisiva ragione: perché ho conosciuto il Vangelo solo grazie a quelle persone che nel corso della mia vita me lo hanno messo nelle mani». Credo e amo la Chiesa perché io l’ho conosciuta stringendo la  mano di mia madre che, da bambino, mi accompagnava alla prima messa del mattino. Allora non lo capivo ma oggi sono certo che la mano della Chiesa per me era la mano di mia madre e le mani di molte altre persone che nel corso della vita mi hanno  accompagnato e sostenuto con la loro fede. Poi, adulto, ho letto queste parole del Concilio e vi ho sentito il calore di tante mani che ho stretto, il calore della mano di mia madre: «Dio volle santificare e salvare gli uomini non individualmente e senza alcun legame tra loro, ma volle costituire di loro un popolo, che lo riconoscesse nella verità e fedelmente lo servisse» (Lumen Gentium 9). È dentro a questo popolo, dentro a questa Chiesa ambrosiana che le parole della fede sono arrivate fino a me e per questo io non potrò mai separarmi da questo popolo, con le sue luci e le sue ombre, la sua bellezza e le sue miserie. Mi torna spesso alla mente una parola di don Lorenzo Milani, prete fiorentino che molto soffrì per l’incomprensione da parte delle guide della sua Chiesa. Era solito dire: «La Chiesa è nostra madre e se uno ha una madre brutta che importa? È sempre sua madre». Nonostante tutto è bello stare nella Chiesa, è grazia che mette sulle nostre labbra la parola della riconoscenza.

17 Ottobre 2021 | 06:14
Tempo di lettura: ca. 3 min.
Condividere questo articolo!