La morte: questione di «feeling»

Ogni anno il calendario – nella sua pagina di novembre – subito dopo la festosa solennità di tutti i santi, ci propone la commemorazione dei fedeli defunti ma, ad onor del vero, mentre la Chiesa canta la gloria degli spiriti beati e ci chiede di guardare in alto, verso il paradiso, la nostalgia del cuore ci fa abbassare lo sguardo a terra, dove riposano i nostri cari morti. Com’è difficile farci andare bene che nella nostra vita, nel nostro corpo, è già iscritta la morte (2Cor 4,12), questa scomoda compagna di viaggio chiamata da san Francesco d’Assisi con un appellativo che sa di casa: «sorella morte corporale». Certo, il cristiano non passa attraverso l’esistenza terrena sprovvisto di speranza e di un destino di felicità oltre la morte: Cristo è risorto dalla morte e con questa certezza nel cuore non dobbiamo temere di morire ma… morire ci interroga. Oggi noi facciamo esperienza della morte negli altri, in coloro che prima di noi muoiono, ma non per questo scompaiono! La morte non ci porta solo l’assenza fisica dei nostri cari, la sofferenza del distacco, la nostalgia e le lacrime ma ci lascia anche qualcosa di grandioso se sapremo costruire un ponte educativo tra noi e la nostra morte, magari con le parole di Riccardo Cocciante: «questione di feeling». Chi di noi è già passato per la porta stretta della sofferenza arrecataci dalla visita di sorella morte nelle nostre case, sa bene che la morte non è facile da accettare ma è possibile conviverci! Chiamiamola pure resilienza ma io preferisco appellarmi alla promessa di Cristo, quando dice: «Vado a prepararvi un posto…» (Gv 14,2). Forse più che la morte in sé è la paura (lecita) di soffrire. Oggi, rispetto al passato, abbiamo la possibilità di rifarci alle cure palliative che hanno lo scopo di curare non più la malattia ma tutto il resto di noi e che dà ancora un senso profondo alla vita: la cura dei sintomi psico-fisici, il benessere spirituale, l’affetto alle persone care al malato e che dovranno elaborare il tortuoso percorso del lutto. La morte ci porta «in dono» anche la solidarietà di persone buone e generose che si fanno a noi vicine per alleviare il senso di vuoto che il lutto costantemente ci ricorda. Elisabeth Kübler-Ross (1926-2004) indica nel percorso del lutto cinque fasi: negazione-rabbia-patteggiamento- depressione-accettazione: solo Dio sa quanto sia vero e difficile questo iter! Eppure in noi grida la vita! Nei giorni dei santi e dei morti, più che mascherarsi goffamente da streghetta o mostriciattolo, facciamo in modo di far trionfare la forza della vita con i gesti che sono tipici dei cristiani: la visita ad una persona malata o che vive in solitudine, andare al cimitero non per trasformare le tombe in succursali di fioristi o fare a gara per la tomba più bella, ma per dire «grazie» a chi ci ha preceduti nell’esperienza dell’ars vivendi e dell’ars moriendi. La morte non va rifiutata: essa ci chiede di avere con lei un cristiano… feeling!

Fra Michele Ravetta, cappellano nel reparto di cure palliative di Casa Serena a Lugano.

2 Novembre 2019 | 05:27
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