La fame oggi, esito di guerre e speculazioni

di Paolo Beccegato
Italia Caritas – maggio 2016

La guerra in Siria sta causando un numero di vittime mai raggiunto nella storia recente delle crisi umanitarie. Fra costoro, vanno annoverati non solo morti e feriti. Non solo profughi e sfollati. Ma anche tutti coloro che patiscono le conseguenze di una violenza irrefrenabile e arrivano addirittura a patire la fame.
Fin dalla nascita delle Nazioni Unite, nel 1945, la comunità internazionale si è data l’obiettivo di combattere contro la malnutrizione e soprattutto cancellare per sempre la sua forma più catastrofica, la carestia. Un obiettivo piuttosto chiaro, fino dagli anni Ottanta: di fronte a un mondo in rapida crescita demografica, c’era l’esigenza di accrescere la produzione agricola per tenere il passo con l’aumento della popolazione. Era l’epoca della «rivoluzione verde», un insieme di tecniche innovative in agricoltura, escalation verso la produzione meccanizzata, fondata sul miglioramento dei sistemi di stoccaggio e distribuzione e sulla conversione verso prodotti a più alto valore nutritivo.
Ma rimaneva insoluto il problema di fare fronte alle crisi, normalmente attribuite ad eventi naturali. Fu solo tra gli anni Settanta e Ottanta che, attraverso politiche di welfare e meccanismi di distribuzione e mercato più efficienti, si riuscì a ridurre l’impatto degli eventi naturali più acuti, tanto che – nella seconda metà degli anni Ottanta – si era diffusa la convinzione che le carestie fossero ormai un ricordo del passato. In realtà, c’erano ancora molti problemi da risolvere nella risposta alle emergenze alimentari, a cominciare da una conoscenza scientifica insufficiente della malnutrizione acuta e dalla scarsa qualità dell’azione umanitaria.

Mercato in mano a pochi
Negli anni Novanta, fu chiaro che non solo le carestie non erano scomparse, ma si erano fatte molto meno prevedibili, in quanto ormai causate prevalentemente da guerre e da crisi politiche ed economiche. Si compresero meglio anche i meccanismi biologici della malnutrizione, i bisogni specifici della maternità e dell’infanzia, quelli delle persone anziane, la gravità della carenza di micronutrienti (in particolare vitamine e minerali) e l’impatto del deficit calorico sul sistema immunitario. Si ridefinirono gli standard nutrizionali minimi e migliorarono la capacità logistica e i sistemi di distribuzione. Era ormai chiaro come l’effetto della guerra sull’alimentazione fosse divenuto il principale problema da risolvere, e che la soluzione non si poteva più trovare nella tecnica o nella scienza, ma andava cercata nella politica.
Con il nuovo millennio, il problema alimentare ha trovato una nuova dimensione problematica, quella del mercato globale. Il mercato mondiale del cibo è oggi estremamente fragile. È saldamente dominato da pochissime e gigantesche imprese private. È oggetto di una speculazione finanziaria incontrollata. Soffre del fatto che ampie superfici di terreni sono destinate alla produzione energetica (biocarburante). È infine soggetto a uno spreco elevatissimo e a una variabilità di prezzi che lo rendono spesso inaccessibile alle persone più povere.
In una tale situazione di vulnerabilità, l’effetto delle crisi politiche e delle guerre produce conseguenze ancora più gravi che in passato. Basti ricordare gli effetti delle due più gravi crisi di prezzi del cibo avvenute nell’ultimo decennio. Tra il 2007 e il 2008, il prezzo del cibo è aumentato, in pochi mesi, dell’83%, pur in presenza di un leggero aumento della produzione e di una sostanziale stabilità degli altri indicatori. Solo tre anni dopo, tra il 2011 e il 2012, il fenomeno si è ripetuto in maniera ancor più grave, con un aumento del 97%, anche in conseguenza di un’ondata di calore che aveva ridotto le capacità di esportazione della Russia, portando i prezzi alle stelle e dando il via alle primavere arabe e poi alla stessa guerra in Siria.
Oggi la malnutrizione non è solo la dimostrazione del più clamoroso obiettivo mancato della comunità internazionale. E un problema che affligge 850 milioni di persone nel mondo. Ma anche il più inaccettabile fra i diritti negati in nome del mercato.

2 Giugno 2016 | 07:06
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fame (28), povertà (88), speculazione (1)
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