La comunità cattolica africana punta sul protagonismo dei laici

Pace, dialogo interreligioso, sfida ecologica, giustizia sociale. Sono questi i quattro temi preponderanti in questi primi giorni del viaggio in Mozambico, Madagascar e Maurizio che papa Francesco compie fino al 10 settembre. Dal 1981 al 1992 la guerra civile in Mozambico posteriore all’uscita dal colonialismo portoghese, ha fatto centinaia di migliaia di morti lasciando nella società ferite aperte che sono arrivate fino ad oggi. Francesco in questa prima tappa del viaggio ha portato un messaggio di pace e riconciliazione, e farà la stessa cosa in Madagascar dove oggi ci saranno i primi incontri ufficiali. L’«Isola rossa» viene da anni di crisi istituzionali che hanno rischiato di far precipitare il paese in una guerra civile, per le divisioni all’interno dell’arena politica nazionale e per l’influsso di potenze straniere: fatto che non è mai una novità quando si parla di Africa postcoloniale. Tutto questo è storia, come storia più recente sono i giovani, le donne, le famiglie che in queste ore circondano la papamobile di Francesco. Tra loro i cristiani locali, anagraficamente molto più giovani di quelli occidentali, appartenenti a comunità in crescita.

«Sono comunità vivaci, caratterizzate da varie dimensioni», ci dice padre Filippo Ivardi Ganapini, direttore della rivista «Nigrizia» dei missionari comboniani, giornalista ma per anni anche missionario in Africa. A lui chiediamo di indicarci tre elementi di novità dei cattolici che vivono in queste terre. «Il primo – ci spiega – è il coinvolgimento e il protagonismo dei laici nella costruzione delle comunità: catechisti, responsabili di comunità, gruppi di laici organizzati. Il secondo aspetto è quello di un impegno in équipe a livello di piccole comunità: è una Chiesa che vive la sinodalità concreta».

Padre Filippo ha trascorso 10 anni in Ciad, vicino al Darfur. Conosce anche il grande e apprezzato lavoro che hanno fatto i ticinesi nella Diocesi di Doba. «L’impostazione in Africa della vita della comunità ecclesiale – continua il direttore della rivista dei padri comboniani – è molto meno individualista rispetto all’Occidente. Ogni Caritas, ogni comitato per la liturgia o la catechesi, ogni tipo di servizio, è condotto in équipe». Il terzo aspetto è quello delle piccole comunità di base. «In un mio recente viaggio in Madagascar ho toccato con mano la bellezza di credenti che si riuniscono nelle case del loro quartiere, durante la settimana, a leggere la Parola di Dio».

Insomma, da quello che racconta il comboniano si può dire di tutto meno che quelle africane siano comunità che non hanno nulla da dire alla Chiesa in Occidente. Il viaggio del Papa offre molti spunti anche riguardo al dialogo interreligioso. «Gli incontri interreligiosi sono una caratteristica di questo Pontefice e dei suoi viaggi. La visita in Marocco (marzo 2019) e soprattutto il documento «Fratellanza Umana per la Pace Mondiale e la convivenza comune», testo fondamentale co-firmato dal Papa e dal grande imam di Al Azahr durante il viaggio ad Abu Dhabi (febbraio 2019), nascono dal desiderio che le religioni dialoghino e siano strumenti di pace».

La ricaduta c’è a livelli diversi. Padre Ganapini esemplifica: «Quest’anno, per la prima volta, alcune organizzazioni islamiche in occasione del Ramadan, hanno dedicato la festa di chiusura (Eid) a Papa Francesco motivandola in nome del dialogo e dell’impegno che il Pontefice mette in atto nei confronti dei musulmani ». Nello stesso Madagascar, il documento di Abu Dhabi ha motivato il coinvolgimento della comunità islamica nella collaborazione all’organizzazione dell’accoglienza al Papa. Da ultimo, Francesco compie il viaggio alla vigilia di un mese straordinario (ottobre) che la Chiesa cattolica dedicherà alla missione per sottolineare i 100 anni della lettera apostolica di Benedetto XV «Maximum illud» (1919). «Questo documento –precisa padre Ganapini – chiede di non confondere l’annuncio del Vangelo con le strategie delle potenze coloniali. Quindi anche con i loro interessi economici e militari. Il Papa di allora aggiunse un altro punto: la storia universale della salvezza e la missione di evangelizzazione dei popoli non possono mai essere usate per giustificare atteggiamenti di chiusure tra paesi, come invece vediamo riaffiorare oggi a livello globale, nella forma dei sovranismi».

Anche un po’ di Svizzera in questo viaggio papale

«Al di là delle differenze, sognate con gli altri, mai contro: la solidarietà è l’arma migliore per trasformare la storia e la gioia è il miglior antidoto per smentire chi vuole dividere». È questa la strada che il Papa indica ai giovani mozambicani, cristiani, indù, musulmani e seguaci delle religioni tradizionali, incontrati giovedì. Riconciliazione e pace sono temi ricorrenti del viaggio in Mozambico. La Chiesa, soprattutto grazie alla comunità sant’Egidio, ha giocato un ruolo «storico prioritario» riconosciuto dal Presidente del Paese, sia in queste ore, sia all’atto della firma degli accordi di pace, lo scorso 6 agosto. In questo complesso scenario va citato però anche il lavoro della diplomazia elvetica che in questi ultimi anni ha dato un notevole contributo al negoziato di pace, che – come hanno scritto qualificati osservatori – altrimenti non sarebbe giunto ad un esito positivo. Una Svizzera che incontriamo anche in Madagascar, nuova tappa del viaggio papale, dove missionari, volontari e associazioni ticinesi e elvetiche generosamente vi operano. Qualcuno tra loro, in queste ore, accoglierà personalmente anche il Papa.

Cristina Vonzun

7 Settembre 2019 | 12:00
Tempo di lettura: ca. 3 min.
Condividere questo articolo!