La Chiesa nei Balcani alle prese con flussi migratori e riconciliazione

I flussi migratori, la riconciliazione e la situazione della Chiesa nella regione balcanica. Sono questi alcuni dei temi al centro dell’odierna visita «ad limina apostolorum», dei presuli della Conferenza episcopale internazionale Santi Cirillo e Metodio (Ceicem) che riunisce i presuli di Serbia, Montenegro, Macedonia e Kosovo che sono stati ricevuti questa mattina in udienza dal Papa. Sull’importanza di questa visita, Amedeo Lomonaco ha intervistato il presidente della Ceicem, mons. Ladislav Nemét, vescovo della diocesi serba di Zrenijanin:

R. – Senz’altro, è un’occasione per rafforzare la nostra fede e la comunione ecclesiale, specialmente la comunione con la Chiesa di Roma, con il vescovo di Roma, il Santo Padre Francesco.

D. – In Serbia, Montenegro, Kosovo e Macedonia – dove i cattolici sono una minoranza – la convivenza e il dialogo sono vie imprescindibili. Come procede questo cammino lungo il dialogo?

R. – Per quanto riguarda la Serbia, la collaborazione e la relazione ecumenica tra la Santa Sede e la Chiesa ortodossa serba autocefala è molto buona. A livello più basso, invece, la collaborazione è abbastanza difficile. Ci sono contatti, ma totalmente personali. In Kosovo è più significativo il dialogo interreligioso, perché i cattolici vivono tra i musulmani. In Montenegro e in Macedonia è difficile anche per la Chiesa cattolica mantenere relazioni con la Chiesa ortodossa ufficiale e anche con due Chiese ortodosse che stanno nascendo con il grande aiuto statale.

D. – In questi Paesi, un’altra questione fondamentale è quella legata alle migrazioni …

R. – La Chiesa è molto presente in questo settore. Il problema migratorio interessa più la Macedonia e la Serbia. Ultimamente, da quando la comunità europea e la Germania, specialmente, hanno premuto per un accordo con la Turchia, il numero dei migranti è diminuito veramente moltissimo: ora si contano in centinaia, mentre due anni fa erano migliaia al giorno.

D. – Avete recentemente proposto alla Santa Sede di dividere la Conferenza internazionale Santi Cirillo e Metodio in Conferenze nazionali. Perché?

R. – Per le differenze enormi tra questi Paesi. Non tanto quelle legate alla lingua. Abbiamo quattro Paesi con diverse legislazioni: soltanto in Serbia abbiamo il diritto di insegnare la religione nelle scuole elementari e anche nelle superiori. Sempre in Serbia, si trova il 90% dei cattolici di tutta la Conferenza dei Santi Cirillo e Metodio. Per quanto riguarda il Montenegro, il governo ha firmato con la Santa Sede un accordo generale di base. Negli altri tre Paesi, invece, non ci sono intese analoghe. Anche questa è una grande differenza.

D. – Recentemente, la vostra Conferenza episcopale ha approvato delle linee-guida sui casi di abusi sessuali compiuti da rappresentanti della Chiesa…

R. – Sì, la nostra Conferenza episcopale ha lavorato quasi un anno perché su questa materia in Macedonia, in Montenegro, in Kosovo e in Serbia la legislazione varia da Paese a Paese. Ma noi abbiamo preparato un testo generale valido per tutta la Conferenza. Poi abbiamo aggiunto quattro diversi capitoli, in vigore per ogni Paese membro della Conferenza.

D. – Quali sono le sfide, le prospettive principali per la vostra Conferenza?

R. – Mantenere lo spirito di collaborazione tra i quattro Paesi: indipendentemente dal fatto che abbiamo chiesto alla Santa Sede di dividere la Conferenza, noi lavoriamo insieme fino a quando la Santa Sede non darà una risposta in tal senso. La seconda priorità è quella di rafforzare la nostra presenza in queste quattro diverse società. Ancora la riconciliazione è lontanissima tra croati e serbi, tra albanesi e serbi … Ci sono problemi grandi e grandi sfide e possiamo dare veramente un contributo molto positivo, anche secondo le intenzioni del Santo Padre, che fa tanto per la pace nel mondo.

(Da Radio Vaticana)

30 Gennaio 2017 | 18:00
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