Iraq: cristiani prudenti dopo la liberazione di Mosul

Prudenza e preoccupazione: sono questi i sentimenti prevalenti fra i cristiani iracheni sfollati, dal 2014 rifugiati ad Erbil nel Kurdistan-iracheno, dopo l’annuncio della liberazione di Mosul dalle truppe dell’Is fatto dal premier iracheno al-Abadi. Per il momento, come ha confermato mons. Petros Mouche, arcivescovo siro-cattolico di Mosul, il rientro in città della popolazione è difficile, ma resta anche la questione della tutela della minoranza cristiana. Lo spiega da Erbil, padre Benham Benokasacerdote siro-cattolico della diocesi di Mosul, al microfono di Fabio Colagrande:

 

R. – Di sicuro è un grande successo dell’Iraq, di tutti i militari iracheni, di tutte le coalizioni, di tutte le appartenenze. Però, adesso, dopo la fine dell’Is che cosa ci aspetta? L’Iraq è spezzato e quindi la prima cosa da fare è quella di unificare l’Iraq e vedere come si può applicare la pace all’interno di questa divisione.

D. – Qual è attualmente la vita dei cristiani iracheni nel Kurdistan iracheno?

R. – Alcuni sono partiti fin dal 2014, dopo l’invasione da parte dell’Is, del sedicente Stato Islamico; qui a Erbil ci sono ancora decine di migliaia di cristiani rimasti: alcuni di loro sono tornati nei loro villaggi e città cristiani, soprattutto nella parte Nord della Piana di Ninive. Invece, quelli della Piana di Ninive del Sud non sono tornati nelle loro città, visto che la condizione di sicurezza in in questi villaggi non è ancora risolta.

D. – I cristiani iracheni che vivono a Erbil, come vedono la liberazione di Mosul?

R. – I cristiani da questo punto di vista sono molto prudenti, cioè i cristiani lasciati soli dalle stesse forze militari irachene, lì, nella Piana di Ninive, con l’Isis, nessuno li ha protetti: per questo sono venuti verso il Nord dell’Iraq, nel Kurdistan iracheno. Vedono che il problema della permanenza del cristianesimo nell’Iraq non è venuto solo con l’Is, ma già prima dell’Is avevamo questo problema: parliamo del lunghissimo cambiamento demografico che i diversi governi iracheni hanno applicato nelle città cristiane. Quindi la preoccupazione nostra non è la fine o la non fine dell’Isis: forse l’Isis ha dato il colpo di grazia dopo quello che i cristiani avevano già sofferto prima di questo.

D. – Tra l’altro, alcuni cittadini cristiani sono stati traditi proprio da altri cittadini musulmani con i quali prima c’erano rapporti di amicizia; anche adesso i reportage ci raccontano di cittadini musulmani che hanno aiutato i jihadisti dell’Is: anche questo crea molta preoccupazione …

R. – Sì. Davvero, nel 2014, proprio dopo l’invasione dell’Is, i nostri «amici» musulmani che venivano spesso nei nostri villaggi cristiani, mangiavano, prendevano medicine, dopo l’invasione dell’Is entravano nelle nostre case vuote e ci chiamavano dicendo: «Caro amico, io sono nella tua casa però purtroppo adesso non è più tua, è casa mia». Stiamo parlando di esperienze molto dure nei confronti di persone con cui abbiamo convissuto per lungo tempo. Noi li abbiamo accettati, ma loro ci hanno rifiutati. Il caso non è solo dei nostri amici musulmani, ma anche della Costituzione irachena e delle leggi che proprio vanno contro la libertà religiosa cristiana e non cristiana del Paese.

(Radio Vaticana)

12 Luglio 2017 | 08:05
Tempo di lettura: ca. 2 min.
iraq (87), isis (86)
Condividere questo articolo!