Internazionale

In difesa della terra, il documento del World Council of Churches sui cambiamenti climatici

«Il nostro futuro, il benessere della nostra casa comune e l’esistenza stessa della nostra specie sono a rischio. La chiamata alle nostre Chiese e a noi stessi non potrebbe essere più chiara; e la nostra unità, solidarietà e determinazione non sono mai state più necessarie al mondo». È l’accorato appello lanciato nei giorni scorsi dal segretario generale del World Council of Churches (Wcc), Olav Fykse Tveit, tramite una lettera pastorale sull’emergenza climatica indirizzata alle Chiese e alla comunità globale che vengono esortate ad agire davanti a una situazione che non può più essere affrontata «da lontano».

Considerando infatti che i pericoli e i danni causati dai cambiamenti atmosferici sono ancora più gravi di quanto finora accertato — con un tasso accelerato di riscaldamento globale — e che rimane quindi meno tempo a disposizione per arginarli, il segretario generale del Wcc invita i fedeli a «un’azione creativa» a difesa della Terra per non soccombere sotto gli effetti irreparabili di disastri ecologici. «È quasi troppo tardi ma possiamo ancora fare la differenza se agiamo ora! Ciò che faremo nei prossimi dieci anni per rallentare il riscaldamento globale — osserva il leader dell’organizzazione ecumenica — determinerà il futuro stesso della nostra casa comune e unica, il pianeta Terra, per migliaia di anni a venire».

Una responsabilità anche e soprattutto «di fronte ai giovani e alle persone vulnerabili» per la quale «è moralmente inammissibile guardare dall’altra parte». Come ad esempio i popoli indigeni, «i più esposti agli impatti climatici, che hanno sposato stili di vita rispettosi del pianeta, alzando la voce in difesa di terra, foreste e acque». È allora un dovere improrogabile «come Chiese in comunione» — prosegue la lettera pastorale — raddoppiare «i nostri sforzi per dare un contributo significativo al fine di evitare le conseguenze più catastrofiche» dovute all’inerzia e alla trascuratezza.
«Quattro anni dopo l’accordo storico sul clima raggiunto a Parigi, vediamo che le nazioni non riescono a tenere il passo con i loro impegni». Dopo i colloqui della venticinquesima sessione della Conferenza degli Stati parte della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sul cambiamento climatico (Cop25) svoltasi le prime due settimane di dicembre a Madrid, osserva Tveit, «abbiamo appreso che 200 nazioni non sono riuscite a rispondere sufficientemente alla crescente urgenza della crisi climatica. I risultati sono stati deludenti», tradotti in un mancato accordo sostanziale volto a trovare strumenti e finanziamenti necessari a risolvere il problema. Per questo i cristiani di tutto il mondo sono chiamati a muoversi costantemente e incessantemente per fare pressioni ai funzionari pubblici affinché adottino un comportamento virtuoso che conquisti la loro fiducia e susciti nel cuore di tutti la speranza di un futuro meno preoccupante. In particolare — rimarca l’appello — i leader delle nazioni più avanzate industrialmente, che sono quelle maggiormente responsabili dell’emissione di carbonio, così come i nuovi ed emergenti produttori di questo inquinante, devono sempre più impegnarsi per creare le condizioni che favoriscano investimenti finanziari a favore di quelle comunità che subiscono perdite e danni incalcolabili a causa dei cambiamenti climatici. È urgente quindi sviluppare progetti per ridimensionare una produzione incontrollata di gas nocivi, mobilitando finanze «sufficienti e aggiuntive» allo scopo di sfruttare energie rinnovabili che contribuiscano alla riduzione delle emissioni dannose in modo che il riscaldamento globale sia mantenuto stabilmente a 1,5 gradi. «L’innalzamento del livello del mare, i gas serra, gli uragani, i cicloni e la siccità non possono essere fermati ai confini nazionali», ricorda Fykse Tveit.

Un impegno di tutti davanti al quale nessuno deve sottrarsi. «L’emergenza climatica — ammonisce la lettera pastorale — è anche la conseguenza dei nostri peccati ecologici», degli stili di vita non sempre consoni alle esigenze ambientali. Doverosa allora un’inversione di tendenza, una «metanoia» precisa il documento. «Dobbiamo ora cercare nei nostri cuori e nei nostri principi fondamentali di fede una nuova trasformazione ecologica e una guida divina per i nostri prossimi passi, diretti a costruire la resilienza di fronte a questa sfida millenaria senza precedenti. Come persone di fede e buona volontà» è quanto mai necessario unirsi, forti delle rispettive tradizioni religiose, «per proteggere la creazione e tutte le creature viventi, oggi e per le generazioni a venire».

L’appello si conclude rinnovando a tutti i cristiani l’invito a non perdere mai la speranza in Cristo Salvatore che desidera la serenità e la «prosperità umana» e non lascia mai solo l’uomo nella sua aspirazione a realizzare un mondo migliore.
Agire senza più alcun indugio è il miglior modo di «celebrare insieme Dio come creatore — ha affermato recentemente il presidente della Conferenza delle Chiese europee (Kek) Christian Krieger — per esprimere la nostra gratitudine comune per il dono di tutta la vita e il nostro rammarico per l’abuso del nostro ambiente e delle risorse naturali, e per diventare consapevoli della nostra responsabilità verso tutti gli esseri umani e verso il creato».

L’Osservatore Romano/red

16 Gennaio 2020 | 07:15
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