Diocesi

Il vescovo Lazzeri celebra al Penitenziario, quella «porzione» di Chiesa che è a Lugano

di padre Michele Ravetta*

Non si tratta di una parrocchia tout court né di un movimento o comunità religiosa… è un gruppo di uomini (inteso come popolazione unicamente maschile) che facendo l’esperienza di privazione della libertà, vive un tempo medio lungo di detenzione al Penitenziario di Stato di Lugano. Fin dalla sua edificazione nel 1968, il carcere della Stampa beneficia di un’assistenza spirituale, in un primo tempo affidata al clero diocesano e da ormai cinquant’anni affidata ai padri Cappuccini. La grande famiglia composta dai detenuti che ogni domenica frequentano la Messa è «multi» in tutti i sensi: multi etnica, multi colore, multi idioma, multi culturale, multi… religiosa!

È una porzione della Chiesa che è a Lugano, una «parrocchia» speciale che, quando gli impegni pastorali lo permettono, riceve la visita del suo pastore, il Vescovo Valerio. E’ infatti una realtà cara al nostro Vescovo il benessere spirituale dei fratelli detenuti in mezzo ai quali – dall’inizio del suo episcopato ad oggi – ha già amministrato a due adulti, privati della libertà, i sacramenti dell’iniziazione cristiana.

Come è bello annunciare alla fine della Messa che domenica 28 luglio alle 10 il Vescovo Valerio sarà «dei nostri» per vivere insieme quel sacramento che ci fa fratelli e Chiesa! Un fremito di emozioni percorre giovani e meno giovani che si sentono, per il tempo di una Messa celebrata insieme, persone come gli altri, amati e sostenuti da una Chiesa che guarda alle periferie esistenziali, alle derive umane, dove sogni e speranze resistono faticosamente alle intemperie interiori, alimentando nostalgie di casa, di una vita normale, della libertà.

La parola che anche nella XVII domenica di questo tempo ordinario il Vescovo porta oltre le sbarre della Stampa è un invito a coltivare la libertà interiore che vive in ogni uomo, una libertà guadagnataci a caro prezzo! (1Cor 6,20).

Non sono pochi i fratelli detenuti che vogliono salutare il presule nella sacrestia della bella e variopinta chiesa del carcere: si va così a formare una «processione laica» di uomini che hanno ferito e sono loro stessi feriti dalle proprie azioni e che vogliono incontrare il sorriso della Chiesa nella persona del pastore diocesano, ascoltare da lui una parola di incoraggiamento ad andare e guardare avanti, consegnargli le fatiche di una quotidianità fatta «a strisce» come le sbarre che delimitano il campo visivo visto dall’interno delle loro celle, ricevere anche il perdono nel sacramento della riconciliazione, una benedizione, una stretta di mano. Più di una volta i detenuti mi hanno confidato di aver a stento trattenuto le lacrime durante le celebrazioni presiedute dal nostro Vescovo, poiché si sono sentiti voluti bene da un Dio che non guarda le apparenze alle quali lo sguardo umano si scontra giudicando, ma essere visti da Colui che guarda in profondità, guarda al cuore dell’uomo (1Sam 16,7) e al suo desiderio di ricominciare.

*cappellano carcerario

27 Luglio 2019 | 13:03
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