Il vescovo Valerio celebra la Santa Messa nella chiesa Cristo Risorto a Lugano. (Foto di archivio)
Ticino e Grigionitaliano

Il vescovo di Lugano Lazzeri: «La nostra vita è comunione di persone, anche quando siamo costretti a stare fisicamente soli»

Questa mattina, nella chiesa di Cristo Risorto in Lugano, mons. Valerio Lazzeri ha presieduto, a porte chiuse, la Santa Messa, trasmessa in diretta radiofonica e in streaming sul nostro portale (qui è possibile riguardare la Santa Messa). Ecco qui di seguito le sue parole pronunciate durante l’omelia, nella quale individua nelle letture proposte in questa terza domenica di Quaresima degli spunti per affrontare il momento particolare che stiamo vivendo.

Carissimi,

due immagini si disegnano davanti ai nostri occhi questa mattina. La prima è quella che subito raggiunge il nostro stato d’animo. È la figura di un popolo che soffre nel deserto della prova: «Perché ci hai fatto salire dall’Egitto per far morire di sete noi, i nostri figli e il nostro bestiame?» (Es 17,3-7). È la fotografia di ciò che stiamo vivendo!

Perché ci troviamo in questa situazione di fatica, di restrizioni di movimento, di rinuncia a gran parte della dimensione pubblica e sociale della nostra vita? Lo smarrimento è grande e mette in crisi un po’ tutti, anche coloro che devono prendere decisioni per gli altri e, come Mosè, si chiedono: «Che cosa farò io per questo popolo?» (Es 17,3-7).

Sì, come gli Israeliti nel deserto, abbiamo sete. Di rassicurazioni, di consolazione, di motivi di speranza. Siamo preoccupati per la nostra salute e per quella dei nostri cari. Tremiamo per la sorte delle nostre sorelle e dei nostri fratelli più fragili. Siamo tristi perché privati di molte cose che fino a ieri davamo per scontate. Ci sentiamo sospesi.

Proprio qui, però, si innesta la seconda immagine che ci viene proposta, la più sorprendente e sconvolgente. È quella di un Dio in viaggio sulle strade polverose della storia, un Dio che cerca e attende qualcosa da parte nostra proprio laddove la creatura umana è costretta ogni giorno a recarsi, piegata dalle necessità della vita. È la figura di «Gesù, affaticato per il viaggio» che siede «presso il pozzo» (Gv 4,5-42).

Ecco la roccia da battere con fiducia perché ne esca acqua viva per le nostre esistenze, inaridite oggi dall’ansia e dalla paura. Dio non guarda da sopra la nostra condizione umana. Non la valuta dall’esterno. Tantomeno interviene su di essa, facendole piovere addosso le sue iniziative, più o meno benevole, a seconda dei suoi umori. Nel Suo Figlio Gesù, con la forza del Suo Spirito Santo, effuso nei nostri cuori, Dio cammina e si affatica per farci arrivare da dentro il fiume della Sua grazia. Nell’intimo di ciascuno è all’opera per guarire le nostre ferite e trasformare il nostro modo di essere al mondo, a partire dalla sua radice più profonda.

Gesù ci aspetta ancora oggi alla soglia del pozzo. Non con la soluzione prefabbricata alle difficoltà in cui ci dibattiamo, non con un vaccino miracoloso già pronto, ma con la manifestazione della Sua sete, con una parola che ci interpella e ci presenta il Suo bisogno di noi, proprio nel momento in cui riteniamo di dover pensare solo al nostro.

È impressionante vedere come la vita della donna samaritana cambia di fronte alla disarmante richiesta di Gesù. La Sua attesa di qualcosa da lei innesca il dialogo, mette in moto un processo di salvezza, fa saltare, una dopo l’altra, le barriere dietro a cui l’essere umano è solito difendersi: le convenienze sociali, i pregiudizi culturali, le maschere pubbliche dei vizi privati, le convinzioni religiose sacrosante, usate come motivo di polemica e di contrapposizione.

Tutto, passo dopo passo, si dissolve, fino alla rivelazione diretta e personale del Cristo: «Sono io, che parlo con te» (Gv 4,5-42). Sono io che tolgo la tua vita dalla tristezza e dall’anonimato, dall’isolamento e dal sospetto, dall’indifferenza e dal giudizio altrui, dal virus del disprezzo di sé e dell’altro, che è molto più letale di qualunque altro.

Carissimi amici, il male subdolo e invisibile che ci sta assediando ci mette in una situazione paradossale. Ci costringe a tenere le distanze gli uni dagli altri, nel momento in cui maggiormente avremmo voglia di abbracciarci e stare vicini. Ci chiede di stare a casa, mentre vorremmo più che mai radunarci insieme e, come cristiani, celebrare in assemblea i santi misteri. È una situazione umanamente difficile da assumere senza vacillare.

C’è un solo modo per sopportare e, addirittura, rendere feconda questa innaturale tensione. Fare nostre più che mai le parole di Gesù: «Né su questo monte né a Gerusalemme adorerete il Padre… Viene l’ora ed è questa – in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità» (Gv 4,21-24). La nostra vita è comunione di persone, anche quando siamo costretti a stare fisicamente soli. È costitutivamente relazione. Per questo, quando scegliamo per noi stessi, dobbiamo imparare a farlo come per un popolo intero!

È questo l’inesausto desiderio del Padre! E la sete di Cristo, che storicamente lo manifesta, diventa il nostro sicuro punto di riferimento, in questi momenti pesanti. La sete che ha Cristo di noi estingue la nostra. Ci spinge ad andare oltre la nostra paura, oltre la nostra pur comprensibile apprensione, oltre la spinta istintiva del «si salvi chi può». Come la Samaritana, ci accorgiamo che lui conosce la nostra storia complicata – «Mi ha detto tutto quello che ho fatto» (Gv 4,29) – e ne fa una missione, facendone scaturire, come da una roccia, risorse di umanità, di vita e di freschezza, che mai avremmo pensato di avere.

Così è importante, certo, in questo momento, un sistema sanitario efficiente, un numero adeguato di posti letto in ospedale, risorse adeguate a poter curare tutti. Non meno essenziale, però, è la convinzione che dobbiamo alimentare. Ci è dato di vivere un passaggio fondamentale: da una vita individuale, pensata come uno stagno o una cisterna di esperienze e di possibilità autocentrate, a una vita sorgente inesauribile, zampillante di bontà, di premura, di attenzione all’altro, di responsabilità verso tutti.

Che cos’è questo, se non l’esplicita promessa di Gesù? «Chi berrà dell’acqua che io gli darò, non avrà più sete. Anzi, l’acqua che io gli darò diventerà in lui una sorgente di acqua che zampilla per la vita eterna» (Gv 4,14).

Preghiamo perché questa parola si compia in ciascuno di noi e presto possiamo tornare a cantare con il salmista: «Hai mutato il mio lamento in danza, mi hai tolto l’abito di sacco, mi hai rivestito di gioia» (Sal 30,12).

Il vescovo Valerio celebra la Santa Messa nella chiesa Cristo Risorto a Lugano. (Foto di archivio)
15 Marzo 2020 | 16:52
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