Commento

Il Vangelo della domenica

  1. Calendario romano: Gv 13,31-33.34-35

Dalla rubrica tv Il Vangelo in casa di Caritas Ticino a cura di Dante Balbo, con don Sergio Carettoni in onda su Teleticino

Sulla figura di Giuda si è scritto molto. Sul suo attributo – Iscariota – resta invece un alone di incertezza. Tendenzialmente lo si interpreta traducendolo con l’ebraico ish Karioth, l’uomo di Keriot, una cittadina che si ipotizza fosse in Giudea, circa venticinque chilometri a sud dell’attuale Hebron. Altre tesi minori pensano al turco isk Arioth, «colui che sa». Ma di Giuda è noto soprattutto il gesto, fatale nell’innescare la catena di sofferenze che attenderanno Gesù, che lo ha condannato fino ai giorni nostri ad essere icona di tradimento per antonomasia. Il baratro che lo attenderà, fino a farlo sprofondare nel senso di colpa e a prospettargli una assai poco gloriosa uscita di scena, ha un valore simbolico e verrebbe da dire educativo, secondo la visione agiografica del tempo. Tuttavia il suo ruolo è tutt’altro che secondario nel progetto di salvezza che passa attraverso quel calice amaro a cui Gesù non potrà sfuggire. «Anche per questo in questa domenica in cui il tema è l’amore si parla proprio di lui, di Giuda» esordisce don Sergio Carettoni, ancora dal parco della Clinica Luganese Moncucco dove è cappellano. Il brano del Vangelo di Giovanni inizia con l’uscita del discepolo dal cenacolo: un gesto che per don Sergio ha il valore di una scelta precisa. «Una scelta a cui Gesù non solo non si oppone, ma a cui aggiunge lo stimolo a fare ciò che deve». Dante Balbo nota come Giuda abbia partecipato ad una convivialità affettiva con Gesù, dalla lavanda dei piedi fino al boccone condiviso nel piatto. Eppure questo non è bastato a fargli scegliere di restare, e di non perdersi il discorso del Messia sull’amore per gli altri, e su come il loro comportamento futuro li avrebbe contraddistinti nella loro missione. «Il discepolato», continua don Sergio, «è l’esempio di come noi siamo riconosciuti non certo per quello che diciamo o per gli effetti eclatanti del nostro essere Chiesa, ma dall’intensità dei rapporti umani e dell’amore che viviamo tra di noi». Ancora Dante Balbo ricorda come questo amore sia ben lontano dall’essere filantropico. «Infatti. L’amore che si condivide nella comunità è nella concretezza di un servizio finalizzato alla salvezza di ogni persona che condivide con noi un cammino di Chiesa», ricorda don Sergio. «Una comunità o una realtà che non necessariamente ci siamo scelti, eppure qui sta la differenza tra l’essere battezzati e l’essere membri attivi della propria Chiesa. Nel momento in cui incontriamo Cristo anche ciò che non abbiamo scelto diventa una nostra scelta: amare ogni membro di quella comunità nell’assoluta concretezza delle relazioni umane ed interpersonali».

Cristiano Proia

2. Calendario ambrosiano: Gv 13, 31b-35

La pericope evangelica odierna è inserita tra la lavanda dei piedi da parte di Gesù ai suoi discepoli, il tradimento di Giuda che esce e se ne va nella notte – poiché egli stesso era in un certo senso «notte» – e la predizione del rinnegamento di Pietro. Il Signore Gesù offre un insegnamento sublime e davvero «nuovo» che richiede da parte nostra un ascolto profondo della sua Parola per scoprire il Volto dell’Amore gratuito e preveniente. Tale ascolto non è tanto ascolto fisico delle orecchie e neanche mera obbedienza, ma è soprattutto adesione libera e gioiosa del cuore e della vita. «Un comandamento nuovo do a voi, che vi amiate l’un l’altro; come io ho amato voi, così amatevi anche voi l’un altro». Giovanni a differenza dei Sinottici mette al posto della narrazione dell’istituzione dell’Eucaristia il comandamento dell’amore reciproco per sottolineare l’essenziale valore e importanza che esso ha nella vita del cristiano. Infatti esso è il carattere fondamentale del discepolo di Gesù che dona a lui la vita eterna fin da quaggiù facendolo partecipe della Sua vita divina di Figlio amato dal Padre. Questo implica che noi cristiani siamo figli nel Figlio e quindi tutti fratelli tra di noi. Tale comandamento è il «testamento » di Gesù, non un comando ma un «dono» che Egli ci fa affinché tutti insieme camminiamo verso la via migliore dell’amore reciproco, per esprimere così nella concretezza della vita quotidiana l’amore di Dio per noi e di noi verso Dio stesso. Infatti noi non riusciamo ad amare veramente Dio-Amore se non ci sentiamo amati e perdonati dal Signore, e se non ci amiamo reciprocamente pur nella nostra imperfezione e fragilità, fino ad arrivare ad amare persino il nemico! Ce lo ha ricordato anche poco tempo fa Papa Francesco: «Come la luna, che non ha luce propria, riflette la luce del sole, anche noi non abbiamo una luce propria; la luce che abbiamo è un riflesso della grazia di Dio, della luce di Dio. Se ami è perché qualcuno, all’esterno di te, ti ha sorriso quando eri un bambino, insegnandoti a rispondere con un sorriso ». L’Epistola di Paolo esprime bene la concretezza di tale amore, perciò faremo bene a rileggerla durante la settimana per renderla viva nella vita quotidiana (I Cor 12,31-13,8). Potrebbe anche essere di aiuto spirituale la rilettura del famoso brano di Santa Teresa del Bambino Gesù riguardante le gioiosa scoperta della sua vocazione all’interno della Chiesa: «Nel cuore della Chiesa, mia madre, io sarò l’amore e in tal modo sarò tutto e il mio desiderio si tradurrà in realtà». Ascoltiamo la Parola di Gesù, aderiamo ad essa e rispondiamo con grato amore e con gioia a questo grande Amore che ci previene e si dona a noi totalmente, gratuitamente, senza alcun nostro merito.

Madre Sofia Cichetti, Badessa di Claro

18 Maggio 2019 | 18:00
Tempo di lettura: ca. 3 min.
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