Il prof. Adriano Fabris, direttore dell'Istituto ReTe.
Ticino e Grigionitaliano

Il prof. Fabris nella giornata delle comunicazioni sociali segnata dal virus: «Internet è utile alla Chiesa ma non basta»

«Perché tu possa raccontare e fissare nella memoria. La vita si fa storia». Questo è il tema che il Papa ha scelto per la Giornata delle comunicazioni sociali che la Chiesa sta celebrando. Questi mesi senza la possibilità di incontrarsi e di partecipare alle Messe hanno trasferito la comunità cristiana nella realtà online. La prima fase è stata quella della diffusione di Messe, preghiere e conferenze. La seconda fase ha visto una crescita progressiva del desiderio di interagire: le Messe parrocchiali sono passate su piattaforme come Zoom, che hanno consentito a più persone di interagire nella liturgia con letture, canti, preci lette dai fedeli; meet di google è diventato lo strumento per veri e propri incontri e dibattiti. Insomma c’è stata un’evoluzione nell’uso e un crescendo nel desiderio di partecipare, per condividere, raccontare e raccontarsi.

«Questa situazione, nata dalla necessità di supplire alla presenza, corrisponde alla stessa evoluzione di internet: dalla prima fase, quella del web 1.0, con programmi e siti che vedevano l’utenza sostanzialmente spettatrice, fino alle reti sociali, dove si interagisce e si contribuisce a costruire contenuti», ci spiega Adriano Fabris, docente di etica della comunicazione all’Università di Pisa e direttore del Master ReTe della Facoltà di teologia di Lugano.

Professor Fabris, quali chiavi di lettura ci offre sulla necessità crescente di partecipazione online riscontrata in questi mesi, non solo numerica ma qualitativa, dalla fruizione all’interazione? Quello che è successo è un esempio che confuta il modello liberalistico occidentale: noi non siamo individui autonomi, che decidiamo quello che vogliamo: stiamo male se ci viene tolta la prossimità fisica al punto da andare a cercare qualcosa di simile, anche se diverso, nel web. La pandemia ha smitizzato la falsa immagine di autonomia individuale e di indipendenza.

Molti hanno scoperto un interesse per forme di aggregazione online. Qualcuno, impegnato nella Pastorale, ha constatato che si raggiunge più gente e più assiduamente su una piattaforma come meet di google, rispetto ai consueti incon-tri. Cosa trattenere dunque da questa esperienza? La necessità di continuare ad implementare e mantenere anche queste forme di relazione. Qui c’è un’altra regola del web: si devono alimentare i siti e gli account social se si vuole tenerli vivi e frequentati. Ma attenzione: si tratta di forme integrative e non sostitutive. La parola religione, nella sua etimologia, contiene il significato di stabilire legami, collegare, mettere delle comunità in relazioni con Dio. La liturgia, prima di tutto, si fa in presenza. È atto in presenza. Si capisce meglio, allora, quello che in questi tre mesi è stato chiamato il «digiuno» eucaristico: abbiamo sentito la mancanza della presenza. Questo è stato il sacrificio.

Quindi va bene l’integrazione dell’online, ma non pensiamo di poter sostituire le nostre funzioni e relazioni con il web.

Veniamo al messaggio del Papa. Usciamo da un periodo di condivisione nei media di tante «storie vere». Queste storie «viste» hanno o avranno la capacità di suscitare un’umanità migliore oppure la «velocità» della comunicazione di oggi se le porterà via, con i like che hanno raccolto su facebook? La comunicazione si fa attraverso storie, le storie restano perché possono essere trattenute nella memoria, ma la memoria le trattiene quando esse danno senso alla vita. Non tutte le storie sono uguali, alcune scivolano via, come il gossip che mi coglie nella mia curiosità, ma non mi cambia la vita. Invece ci sono le storie che mi cambiano.

Nel caso della pandemia queste storie sono state quelle di casa nostra. Quanto conta l’esperienza diretta nell’apprendimento e nella memoria dei valori? Diversi tra noi hanno avuto un amico colpito dal virus o conoscono chi ha avuto un famigliare o un conoscente scomparso, tutti -in qualche modo- siamo stati toccati. Una storia rimane e ci cambia non solo se ci interessa, ma anche se siamo in grado di riraccontarla. Ora, questa storia accaduta è la «nostra». Inoltre la Pandemia è stata anche una prova di verità: le fakenews che affermavano per mesi la non importanza dei vaccini, oppure certi video o messaggi individualisti del tipo «io sono mio e degli altri me ne frego», sono stati smentiti dalle nostre esperienze e storie concrete.

Ora per non perdere la verità di questi mesi dobbiamo semplicemente fare memoria e riraccontare quello che abbiamo vissuto sulla nostra pelle. L’Agamennone di Eschilo diceva: «Noi impariamo attraverso il patire», che non è solo la sofferenza, ma un com-patire , cioè una condivisione. Raccontiamole e ridiciamole quindi, queste storie vere.

Cristina Vonzun

Il prof. Adriano Fabris, direttore dell'Istituto ReTe.
24 Maggio 2020 | 08:13
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