Il Papa negli Emirati, «un segno forte di dialogo e apertura»

Il commento del professor Massimo Campanini, orientalista italiano, sul viaggio del Papa negli Emirati Arabi. «Il viaggio papale – scrive lo studioso – avrà davvero successo se non sarà un viaggio di proselitismo e considererà l’altro come un interlocutore alla pari, non come un fratello che sbaglia da ammonire».

Il viaggio di un Pontefice romano nella penisola araba, culla dell’Islam, oggi considerato da molti il nemico numero uno della civiltà occidentale, è un segno forte, di dialogo e di apertura. Dialogo necessario perché i musulmani nel mondo sono oltre un miliardo e mezzo; non sono terroristi, tranne l’esigua minoranza che ha scelto la lotta armata per sostenere le proprie rivendicazioni; hanno una cultura e una tradizione di grande ricchezza e pluralità, peraltro disconosciuta soprattutto dai mass-media. L’apertura è inevitabile, perché l’Islam è una religione monoteistica e fondata su una Scrittura rivelata, nel medesimo solco del giudeo-cristianesimo. Francesco sta dimostrando di cogliere il fatto che l’Islam non è alieno alla cultura dell’Occidente. D’altro canto, le accoglienze trionfali che gli sono state riservate dimostrano che anche dall’altra parte c’è volontà di dialogo e di apertura, per i medesimi motivi. Tuttavia, il viaggio papale avrà davvero successo se non sarà un viaggio di proselitismo e considererà l’altro come un interlocutore alla pari, non come un fratello che sbaglia da ammonire. Una delle questioni più fraintese è quella della «reciprocità». Vero è che i non musulmani non possono entrare nei sacri recinti di Mecca e Medina. Ma è falso affermare che nel mondo islamico non ci siano chiese, mentre che ai cristiani sia proibito di praticare la loro religione è affermazione talora vera, ma dev’essere valutata alla luce dei contesti, quelli soprattutto di guerra aperta. Non mi pare, del resto, che ai musulmani europei sia sempre e facilmente consentito di pregare in luoghi idonei. La costruzione di chiese, ma anche di pagode indù o templi buddhisti, è proibita solo in Arabia Saudita, terra sacra, non è un divieto generalizzato. Sarebbe, rovesciando la prospettiva, come pretendere di poter costruire una moschea dentro la Città del Vaticano. La violenza di cui qualche volta sono oggetto i cristiani in Medio Oriente non ha motivi religiosi, ma di risentimento politico: il cristianesimo è stato di fatto una delle bandiere dei colonizzatori europei che per almeno un secolo e mezzo hanno invaso le terre musulmane. D’altra parte, i musulmani riconoscono già l’autorità, per così dire, istituzionale del Papa, ma certo è vano sperare che ne riconoscano l’autorità religiosa fuori dal perimetro del cristianesimo. Sono certo che Francesco non si aspetta ciò, e anzi si trova negli Emirati perché gli incontri con i dotti dell’Islam (gli ulema), eminente tra tutti il rettore dell’università di al-Azhar, al-Tayyeb, promuovano convergenze di intenti, sul terreno comune del monoteismo, in vista della pace mondiale. I rappresentanti dell’Islam istituzionale, talora molto conservatore ma irriducibile alla violenza dei gruppi estremisti che essi stessi condannano, credo siano disponibili a un terreno di interlocuzione che superi gli steccati dello «scontro di civiltà».

Massimo Campanini,
docente di Studi islamici e Paesi arabi all’Università di Trento

5 Febbraio 2019 | 11:00
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