I saluti di Papa Francesco prima dell'udienza nel cortile di San Damaso.
Papa e Vaticano

Il Papa: dalla crisi si esce migliori ascoltando gli ultimi

Tutti sono chiamati ad assumersi le proprie responsabilità «nei processi di guarigione della società». È questa la via di uscita indicata da Papa Francesco per uscire migliori da una situazione come quella attuale, che è «una crisi sanitaria e al tempo stesso sociale, politica ed economica». Per partecipare «alla cura e alla rigenerazione dei popoli, è giusto che ognuno abbia le risorse adeguate». «Spesso, però, molte persone non possono partecipare alla ricostruzione del bene comune perché sono emarginate, escluse o ignorate; certi gruppi sociali non riescono a contribuirvi perché soffocati economicamente o politicamente. In alcune società, tante persone non sono libere di esprimere la propria fede e i propri valori. Altrove, specialmente nel mondo occidentale, molti auto-reprimono le proprie convinzioni etiche o religiose. Ma così non si può uscire dalla crisi, o comunque non si può uscirne migliori».

Si rispetti il principio di sussidiarietà

Riavvolgendo il nastro della storia, il Pontefice ha ricordato che «dopo la grande depressione economica del 1929 Papa Pio XI spiegò quanto fosse importante per una vera ricostruzione il principio di sussidiarietà«. Si tratta di un principio sociale mosso da un doppio dinamismo: «dall’alto verso il basso e dal basso verso l’alto». Devono essere coinvolti sia i livelli più alti del corpo sociale, come lo Stato, i livelli intermedi o minori. «Il contributo degli individui, delle famiglie, delle associazioni, delle imprese, di tutti i corpi intermedi e anche delle Chiese è decisivo». «Le voci dei popoli indigeni, le loro culture e visioni del mondo – ha detto il Papa – non vengono prese in considerazione. Ma oggi, ha sottolineato Papa Francesco, «si è diffuso come un virus» il mancato «rispetto del principio di sussidiarietà».

Pensiamo alle grandi misure di aiuti finanziari attuate dagli Stati. Si ascoltano di più le grandi compagnie finanziarie anziché la gente o coloro che muovono l’economia reale. Si ascoltano di più le compagnie multinazionali che i movimenti sociali. Parlando in dialetto quotidiano, si ascoltano più i potenti che i deboli e questo non è il cammino, non è il cammino umano, non è il cammino che ci ha insegnato Gesù, non è attuare il principio di sussidiarietà. Così non permettiamo alle persone di essere protagoniste del proprio riscatto. 

Riferendosi alla pandemia, il Papa ha poi aggiunto:

O pensiamo anche al modo di curare il virus: si ascoltano più le grandi compagnie farmaceutiche che gli operatori sanitari, impegnati in prima linea negli ospedali o nei campi profughi. Questa non è la strada buona. Tutti vanno ascoltati, questi che sono in alto e quelli che sono in basso, tutti.

Solidarietà e sussidiarietà

La strada buona è invece un’altra. «Per uscire migliori da una crisi – ha detto il Papa – il principio di sussidiarietà dev’essere attuato, rispettando l’autonomia e la capacità di iniziativa di tutti, specialmente degli ultimi». Il cammino della solidarietà, ha aggiunto il Pontefice, ha bisogno della sussidiarietà perché «non c’è vera solidarietà senza partecipazione sociale, senza il contributo dei corpi intermedi: delle famiglie, delle associazioni, delle cooperative, delle piccole imprese, delle espressioni della società civile». «Tale partecipazione – ha osservato il Santo Padre – aiuta a prevenire e correggere certi aspetti negativi della globalizzazione e dell’azione degli Stati, come accade anche nella cura della gente colpita dalla pandemia. Questi contributi ›dal basso’ vanno incentivati».

Applaudiamo gli scartati

«Uscire dalla crisi – ha ricordato il Pontefice – non significa dare una pennellata di vernice alle situazioni attuali perché sembrino un po’ più giuste. Uscire dalla crisi significa cambiare, e il vero cambiamento lo fanno tutti». Il Papa ha infine esortato a costruire «un futuro dove la dimensione locale e quella globale si arricchiscano mutualmente, dove la bellezza e la ricchezza dei gruppi minori possa fiorire, e dove chi ha di più si impegni a servire e a dare di più a chi ha di meno». E non si deve disegnare il futuro ricostruendo il passato:

Durante il lockdown è nato spontaneo il gesto dell’applauso, dell’appaluso per i medici e gli infermieri e le infermiere come segno di incoraggiamento e di speranza. Tanti hanno rischiato la vita e tanti hanno dato la vita. Estendiamo questo applauso ad ogni membro del corpo sociale, a tutti, a ognuno, per il suo prezioso contributo, per quanto piccolo. «Ma cosa potrà fare quello di là… –Ascoltalo! Dagli spazio per lavorare, consultalo» Applaudiamo gli «scartati», quelli che questa cultura qualifica «scartati», questa cultura dello scarto, cioè applaudiamo gli anziani, i bambini, le persone con disabilità, applaudiamo i lavoratori, tutti quelli che si mettono al servizio. Tutti collaborano per uscire dalla crisi. Ma non fermiamoci solo all’applauso! La speranza è audace, e allora incoraggiamoci a sognare in grande, … Fratelli e sorelle, impariamo a sognare in grande! Non abbiamo paura di sognare in grande, cercando gli ideali di giustizia e di amore sociale che nascono dalla speranza. Non proviamo a ricostruire il passato, il passato è passato, ci aspettano cose nuove. Il Signore, la promessa è: «Io farò nuove tutte le cose». Incoraggiamoci a sognare in grande cercando questi ideali, non proviamo a ricostruire il passato, soprattutto quello che era iniquo e già malato.

A questo link il testo completo della catechesi di mercoledì 23 settembre

Vatican News/red

I saluti di Papa Francesco prima dell'udienza nel cortile di San Damaso. | © Osservatore Romano
23 Settembre 2020 | 13:05
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