Il dialogo tra le religioni dall’11 settembre 2001 a oggi

È indubbio che l’attentato alle Twin Towers di New York, l’11 settembre 2001, ha costituito uno spartiacque non solo per quanto riguarda la storia e la geopolitica mondiali, ma anche nei rapporti fra cristianesimo e islam. Una lettura all’epoca diffusa, infatti, ha considerato questo evento come un esempio dello «scontro di civiltà» in cui l’Occidente era coinvolto. E, dato che un carattere fondamentale delle civiltà è costituito dalle tradizioni religiose, è comprensibile che questa lettura in termini conflittuali venisse estesa anche alle due importanti religioni monoteistiche. Da tempo la Chiesa cattolica era impegnata nel dialogo interreligioso con i musulmani: non per debolezza o buonismo, ma nella consapevolezza che solo attraverso il dialogo è possibile costruire la pace. Il Vaticano II, con la Dichiarazione Nostra aetate (1965), aveva rappresentato una svolta per quanto riguardava l’atteggiamento nei confronti delle religioni non cristiane. A questo documento – che esortava a promuovere e a difendere insieme ai musulmani la giustizia sociale, i valori morali, la pace e la libertà – si affiancarono poi gesti concreti da parte di Paolo VI e, più ancora, di San Giovanni Paolo II. Fra questi ultimi bisogna ricordare gli incontri di preghiera interreligiosa di Assisi, dal 1986. Proprio su questo processo l’attentato del 2001 incise significativamente. I fondamentalisti islamici erano riusciti nel loro intento di demolire non solo edifici, ma anche relazioni. Non c’è stata solo, in seguito, l’occupazione dell’Afghanistan da parte degli Stati Uniti e dei paesi della coalizione occidentale – conclusasi nella maniera tragica che abbiamo sotto gli occhi –, ma ci sono stati anche numerosi attentati, che hanno portato a un’idea di «guerra diffusa» in molti Paesi del mondo, provocando tante vittime innocenti. E c’è stato soprattutto un aumento della diffidenza fra le parti, che ha reso difficile la ripresa di un vero dialogo. Uno degli esiti fu la reazione di alcune autorità religiose islamiche – frutto di un vero e proprio fraintendimento – a un passaggio del discorso tenuto da papa Benedetto XVI a Ratisbona nel 2006. C’era dunque moltissimo da fare, se si voleva recuperare uno spazio di vera interazione. E molto è stato fatto, sul versante cattolico, da papa Francesco. Unendo le impostazioni dei suoi due predecessori, egli ha infatti compiuto una serie di passi significativi sia attraverso gesti, sia mediante documenti. Due, fra tutti, vanno menzionati: l’incontro di Abu Dhabi con il grande imam Al-Tayyeb, e la firma del testo sulla fratellanza umana, nel 2019; e l’enciclica Fratelli tutti (2020), che proprio a questo incontro si richiama fin dall’inizio e nella quale si delineano le condizioni di possibilità del dialogo interreligioso. Alla base di questi gesti e di questi scritti c’è l’idea di fratellanza. Si tratta non solo di una generica fratellanza umana, ma di quella capacità di vedere nell’altro un fratello o una sorella, e dunque di prendersene cura, che caratterizza tutti gli uomini e le donne di fede. Ci troviamo di fronte non già a una delle tante dichiarazioni di principio, astratte, bensì a qualcosa di cui ciascun credente deve farsi carico proprio perché è un credente. Ne consegue dunque – ed è importante ribadirlo nell’anniversario dell’attentato alle Twin Towers – che chi non considera gli altri suoi fratelli, chi per motivi solo apparentemente religiosi li tratta come nemici, non è un vero credente. Il fondamentalismo uccide non solo innocenti, ma anche il senso stesso della religione.

Adriano Fabris, Direttore Istituto ReTe della Facoltà di Teologia di Lugano.

La trasmissione Strada Regina in onda questa sera alle 18,35 su RSILa1 offrirà un approfondimento al tema con in studio il prof. Fabris.

10 Settembre 2021 | 21:20
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