Commento

Il commento al Vangelo della XII Domenica del Tempo Ordinario

Vangelo romano: Lc 9, 18-24

Forse le folle s’erano messe in testa che la sequela avrebbe procurato loro la capacità di avere sempre la risposta giusta a tutte le domande che il mondo avrebbe loro rivolto. Le risposte: ecco quello che andavano cercando un po’ tutti quelli che Lo rincorrevano. Risposte e miracoli. Lui, invece, era nato e venuto al mondo proprio per dare l’esatto contrario: per diventare l’Uomo delle domande. Domande nude, crude e cruente, senza arroganza né spavalderia. Domande come quella sferrata a Cesarea di Filippo: «La gente chi dice che io sia?». Interrogativi che, nell’attimo stesso che li poneva, mostravano d’aver dentro anche la risposta. Lui domandava per insegnare, non certamente perché avesse delle lacune da colmare. Tanto meno perché gl’importasse che cosa la gente pensasse di Lui. Preferiva domande larghe, meglio se aperte, a risposta multipla. Poi stringeva spaventosamente la presa e pigliava esattamente i pesci che cercava: «Ma voi, chi dite che io sia». Mai s’interessò al pensare della gente, ma all’amore: faceva di tutto per saggiare l’amore di chi diceva d’amarlo, d’esser pronto a tutto per Lui, anche al manicomio. Qualcuno diceva che Lui era Giovanni, altri erano convinti che fosse Elia: era proprio quella la confusione che voleva risparmiare agli amici suoi, i più fidati e non i più santi. Volle, da sempre, che non si lasciassero confondere da quello che la gente diceva di Lui. Che andassero alla sorgente delle questioni, alla radice dei fatti, direttamente alla fonte. Da Lui. Ecco perché, a domanda, era solito rispondere con un’altra domanda. Scelse di fare così perché non voleva riempire dei cuori. Il suo sogno era di accenderli. Ho l’impressione che Gesù faccia ancora questo lavoro attraverso la sua Chiesa e lo Spirito Santo che la anima, in una dinamica trinitaria, che del resto ci abita. Nel suo Vangelo tocca i cuori che si lasciano toccare, accende i cuori che si lasciano illuminare, facendo in modo che non si conosca Gesù «per sentito dire », come scopre Giobbe alla fine della sua vicenda, ma che lo si conosca davvero, che diventi parte integrante di noi, affinché la nostra vita diventi Lui, si conformi in Lui. Il cristianesimo è una persona e non può essere ridotto a rito ed intrattenimento. Il cristianesimo non è una favola per bambini, ma è un dare la vita, per salvarla. Davvero c’è chi cambia vita ancora oggi, davvero ci sono giovani che Lo incontrano vivo nella Chiesa, negli incontri giovanili, nell’Eucarestia, nella Sua misericordia, negli altri. Queste testimonianze viventi sono una prova di verità profonda del cuore umano, che si lascia raggiungere, nella sua povertà di spirito. Chi è troppo pieno di sé non ascolta e non ha spazio per Dio.

Don Rolando Leo

Vangelo ambrosiano: Mt 6, 25-33

Fatico a leggere l’evangelo di questa domenica, in questi tempi di mancanza di futuro per i giovani, di incapacità per molte famiglie ad arrivare a fine mese… come posso ripetere: «Non preoccupatevi per la vita, di quello che mangerete, di quello che indosserete». Il paragone così suggestivo con gli uccelli del cielo che certo non lavorano per procurarsi cibo e i gigli del campo ai quali Dio stesso provvede un abito di stupenda bellezza, questo paragone rischia d’essere indisponente. A differenza degli uccelli e dei fiori del campo noi dobbiamo, con il sudore della fronte, procurarci cibo e vestito con il lavoro quotidiano. Nell’evangelo odierno risuona il triplice appello di Gesù: Non preoccupatevi, più esattamente: Non angosciatevi. Ma perché dovremmo vincere l’angoscia? Semplice e disarmante la risposta: Dio nutre gli uccelli del cielo, Dio riveste l’erba del campo, Dio sa che noi, suoi figli, abbiamo bisogno di cibo e vestito. In una parola: Dio si prende cura. L’angoscia che nasce dalla terribile esperienza dell’impotenza di fronte ad un futuro fosco perchè incerto, può trovare nella fede non già la ricetta miracolistica ma la serena certezza che i nostri fragili giorni sono affidati a Colui che conosce ciò di cui abbiamo bisogno, sono affidati ad un Dio che si prende cura. La fede non è un insieme di risposte rassicuranti ma una sola elementare certezza: non siamo in balìa di un destino cieco, Dio sa ciò di cui abbiamo davvero bisogno e si prende cura. La fede è come una mano amica che tiene la nostra mano, la stringe per infonderci coraggio e così aiutarci a vincere l’angoscia. A noi è detto di cercare una cosa sola: il Regno di Dio e la sua giustizia. Cercarlo, perché è già in mezzo a noi, nascosto negli innumerevoli gesti di amore, condivisione, accoglienza, fraternità, giustizia di cui tanti uomini e donne sono capaci soprattutto in questi tempi difficili. Papa Francesco ci ricorda che l’uomo non può vivere senza solidarietà che «intesa nel suo significato più profondo e di sfida, diventa uno stile di costruzione della storia…. che genera nuova vita» (Evangelii gaudium, 240). La solidarietà, dunque, diventa la garanzia di una umanità che, alla ricerca di una reale giustizia e del benessere per tutti, non può dimenticare gli ultimi, né abbandonare coloro che non riescono a mantenere i ritmi di un’efficienza spesso esasperata. Solo la solidarietà impedisce che troppi finiscano ai margini, scarti di una società che crea e alimenta le diseguaglianze. L›evangelo di oggi non vuole distoglierci dall’impegno quotidiano nel lavoro, piuttosto ci libera dall’angoscia grazie al gesto dell’affidamento nelle mani di questo Padre che conosce i nostri bisogni e ai figli che chiedono un pane non darà una pietra. E neppure noi saremo sordi a quanti ci chiedono pane, non daremo una pietra!

Don Giuseppe Grampa

23 Giugno 2019 | 09:10
Tempo di lettura: ca. 3 min.
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