Il bue del presepe e le tasse: una rilettura inedita della Natività

Da fanciullo ero attratto dalle figure dell’asino e del bue nel presepio. In particolare, mi affascinava il bue. Questa predilezione proseguì nell’adolescenza quando col gruppo giovani si allestiva il gigantesco presepe nella Basilica del Sacro Cuore a Lugano. Che tempi e quanti giovani sono passati dal sottosalone parrocchiale, temprandosi e formandosi per la vita! Ma questo è un altro discorso. Oggi, la figura del bue permea la mia vita, infatti ne allevo un centinaio. Animale pacioso, ma forte, il bue è simbolo di umiltà e azione calma. Penso che derivi dal suo ruminare. Osservarlo mentre, boccone dopo boccone, mastica con calma, è qualcosa di meditativo che non ha pari; quasi una preghiera. Il bue ha una memoria di ferro, lavora duro impiegando in modo positivo la sua forza e va dritto verso la meta. Da qui il proverbio: «Bue vecchio, solco dritto». Mi sono chiesto se questa preferenza per il bue non rischiava di indebolire la centralità del Bambino. Ma, in realtà, il bue rafforza la figura del Messia. Già Isaia scrisse profeticamente centinaia di anni prima della nascita di Gesù: «Il bue conosce il proprietario e l’asino la greppia del padrone, ma Israele non conosce e il mio popolo non comprende» (Is 1, 3). In fondo, il bue e l’asino ci richiamano a questo: se due creature animali hanno riconosciuto il Messia, possiamo noi non accorgerci di lui? A volte, così presi dalla quotidianità, siamo accecati di fronte alle cose. Quando collochiamo le statue nel presepio, dovremmo pregare Dio di concedere al nostro cuore quella semplicità che riconosce nel Bambino il Signore. Si può misurare se abbiamo assunto l’atteggiamento giusto? Certamente! È la gioia che c’è in noi. Ce lo dice Luca nel suo Vangelo (Lc 2,20): «I pastori poi se ne tornarono, glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto, com’era stato detto loro». È il miglior augurio che possiamo farci l’un l’altro. Un augurio di gioia e di letizia che sono i migliori ingredienti per una vita di testimonianza cristiana. E cosa c’entrano le tasse? Quasi dimenticavo. Nell’antica Roma, il valore unitario del denaro era pari a un capo di bestiame, nello specifico a una pecora o, guarda caso, a un bue (proprio dal termine pecus, pecora, trae origine la parola pecunia, denaro). Inoltre, le tasse erano definite come iugum, ovvero giogo ed erano stabilite sulla dimensione dei fondi o sul numero di animali posseduti. Potevano essere pagate anche in natura. Possiamo supporre che Giuseppe, che era un artigiano, disponesse di una proprietà , così che per la riscossione delle imposte dovesse recarsi là e quindi aveva con sé l’asino per trasportare Maria incinta e il bue per dichiarare e pagare il dovuto. Anche se questo fatto è meno poetico ed è una mia considerazione, bisogna comunque riconoscere che grazie alle tasse lo Stato promuove diverse cose utili a tutta la società e assicura la protezione dei più deboli. Buon Natale!

Giovanni Berardi, deputato al Gran Consiglio

26 Dicembre 2020 | 07:56
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