Haiti sull’orlo dell’abisso: allarme della Chiesa non trova risposta

Restano senza risposta i drammatici appelli lanciati dalla Chiesa di Haiti in aiuto alla popolazione del Paese caraibico, tra i più poveri al mondo, stretta nella morsa del sottosviluppo e dei tumulti sociali, a 9 anni dal terremoto, tra i più catastrofici mai registrati, che coinvolse circa 3 milioni di persone e causò oltre 220 mila vittime e danni ingentissimi.

Sale il clima di violenza generale

«Il Paese è sull’orlo dell’abisso», hanno ammonito i vescovi haitiani, in una nota diffusa il 13 febbraio scorso, deprecando il clima di violenza generale, che da qualche mese affligge la vita pubblica, con manifestazioni di piazza – duramente represse dalla forze di polizia – contro il governo del presidente Jovenel Moise, in carica dal febbraio 2017, presto contestato sulla politica economica, poi accusato di corruzione dalle opposizioni e d’incompetenza dal popolo, che stremato nell’indigenza, ora ne chiede le dimissioni.

Minacciato il bene comune

«L’ora è seria, aumenta la miseria, il bene comune è minacciato, questa situazione non può durare di più», hanno avvertito i presuli, appellandosi «alla coscienza dei cittadini dei diversi partiti per una decisione patriottica, anche se sarà a costo di grandi sacrifici», perché sappiano trovare «una soluzione saggia che tenga conto dei migliori interessi della Nazione e della difesa del bene comune».

Governo e opposizioni in gara solo per il potere

All’appello dei vescovi si sono uniti, con parole altrettanto gravi, i padri missionari redentoristi che vantano una radicata presenza tra il popolo haitiano, 11 milioni di persone, che sopravvivono per oltre la metà con meno di due dollari al giorno, quattro su dieci disoccupate. «Cio che è peggio» – hanno denunciato, il primo marzo scorso, i redentoristi – è che notiamo con molta tristezza che l’attuale opposizione non si oppone né alla corruzione, che è un cancro per il Paese, né alla disoccupazione, né all’inefficacia dello Stato, né al contrabbando. Il suo unico rimorso è di non essere al potere». Da qui l’invito rivolto ai protagonisti sociali e politici «ad unire le forze e le intelligenze per salvare la barca comune, che è Haiti».

Il presidente Moise accusato d’incompetenza e corruzione

Le forti contestazioni popolari al presidente Moise, con decine di morti, numerosi feriti e diffuse devastazioni, sono iniziate nel luglio scorso, quando la capitale Port au Prince fu messa per tre giorni a ferro a fuoco, a seguito del raddoppio del prezzo del carburante, provvedimento poi ritirato, che portò alle dimissioni del primo ministro. A seguire il clima si è surriscaldato per lo scandalo scoppiato circa l’uso fatto anche nei precedenti esecutivi dei fondi ricavati dall’accordo PetroCaribe, stipulato nel 2005, con il Venezuela per l’acquisto di carburante a condizioni favorevoli. Inchiesta che ha messo sotto accusa per corruzione ministri ed ex presidenti ed ha visto indagato lo stesso Moise. La gente in piazza ha così rivendicato con violenza quei fondi che potevano essere usati per progetti di sviluppo e la disperazione è salita negli ultimi mesi con la svalutazione della moneta, il rialzo dei prezzi al consumo e un ulteriore perdita del potere d’acquisto, in un Paese che importa dall’estero il 60 per cento del suo fabbisogno

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16 Marzo 2019 | 15:14
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