Giorno 2 – Omelie del Vescovo Valerio nel Pellegrinaggio a Roma

Mercoledì, 14 settembre Esaltazione della Santa Croce

Lasciarsi guarire dalla Croce gloriosa

Ci si può chiedere perché Gesù, parlando con Nicodemo, sia andato a cercare un episodio così singolare dell’Antico Testamento per illustrare l’efficacia di guarigione della sua croce gloriosa nei nostri confronti. L’accostamento del Figlio dell’uomo con il serpente innalzato da Mosè nel deserto ci appare sconcertante, un’immagine sconveniente per un lettore della Bibbia che conosce ben consapevole del ruolo simbiolico di questa creatura nelle prime pagine della Genesi. Eppure, questo contrasto è quanto mai istruttivo. Ci introduce nella profondità del mistero della salvezza che ha la sua manifestazione culminante nella Pasqua del Signore. Ci fa balenare davanti la vera potenza di Dio, che, come dice l’orazione della liturgia spesso citata in questo anno giubilare, si manifesta soprattutto nel perdono e nella misericordia.

A prima vista, il racconto dei Numeri riporta semplicemente uno dei tanti e tristi episodi di resistenza di un popolo nei confronti della tenace pedagogia del Signore, che tenta non solo di toglierlo dalla schiavitù, ma di fargli uscire la schiavitù dal cuore. La tirannia degli Egiziani è alle spalle, ma rimane il duro percorcorso di attraversamento del deserto, la fatica della libertà. E questo si trasforma rapidamente in un lamento «contro Dio e contro Mosè», entrambi accusati dalla gente: «Perché ci avete fatto salire dall’Egitto per farci morire in questo deserto? Perché qui non c’è pane né acqua e siamo nauseati di questo cibo così leggero?».

Non è certo difficile riconoscere qui la radice ultima di ogni nostro peccato, della ferita fondamentale del cuore umano. Non riusciamo a credere alla promessa di Colui che ci chiama alla vita, di fronte alla fatica di «salire», di crescere, di diventare grandi, autonomi, capaci di scelte libere e coraggiose, ci lasciamo sedurre dalla comodità immediata, dal percorso più facile. A ogni difficoltà che si presenta, siamo presi dal sospetto di essere stati presi in giro. Siamo tentati di pensare che non valga la pena di sforzarci, di lottare, di affrontare la difficoltà. La terra promessa è un’illusione e la Parola che ci ha fatto partire un inganno.

Che cosa fare, a questo punto, con un bambino che fa i capricci perché non accetta di diventare grande, con un’umanità che si rifiuta di crescere? La prima risposta della Bibbia è quella che viene in mente a ogni genitore: bisogna fare in modo che ci si renda conto del male che si sta facendo a se stessi in questo modo. Ed è questo il senso dei «serpenti», che bruciano e mordono non tanto per distruggere, ma per risvegliare una coscienza, per riaccendere la consapevolezza della possibilità di riprendere un contatto con il Signore attraverso Mosè: «Abbiamo peccato, perché abbiamo parlato contro il Signore e contro di Te». Si riapre il dialogo dell’alleanza con Dio. Si torna a credere alla sua fedeltà, alla creatività del suo amore.

Ed è la meraviglia di questo racconto! Dio fa prendere a Mosè l’emblema dell’obbrobrio e della vergogna e gli dà la forza di diventare strumento di salvezza. Dà la possibilità a chi ha rifiutato la proposta della libertà, di alzare lo sguardo dalla propria ferita e ricevere dall’alto un’inimmaginabile guarigione.

È il mistero dell’Agape, dell’amore rivelato, che è al centro del Vangelo di Giovanni, l’apostolo a cui, accanto a Giovanni il Precursore, è dedicata la Basilica in cui ci troviamo. In che cosa si manifesta l’Amore, la Misericordia che ci guarisce. Non siamo stati noi ad amare Dio per primi, ma è Lui che ha preso la sconvolgente iniziativa di venire verso di noi, non per condannare, per sanzionare la nostra disobbedienza, ma per prendere su di sé il frutto amaro del nostro rifiuto e trasformarlo in un’occasione perennemente offerta di salvezza, di ricostituzione della nostra integrità creaturale, di rilancio della nostra libertà e della possibilità di rendere feconda la nostra vita.

«Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna».

Dio non potrà mai accettare quello che spesso noi pensiamo di noi stessi: che l’abbiamo ormai combinata troppo grossa perché ci sia ancora qualcosa da fare con noi; che siamo stati troppi anni inerti e indifferenti per poter pensare di tirare fuori dalla nostra vita qualcosa di diverso dal grigiore a cui ci siamo ormai abituati.

La croce gloriosa di Gesù, prefigurata dall’innalzamento del serpente nel deserto, ci sta davanti come testimonianza indelebile di ciò che Dio è in grado di fare, anche con lo strumento più infamante inventato dagli uomini per punire altri uomini e cercare di dissuadere dal male. La croce – non dobbiamo dimenticarlo – non l’ha inventata Dio. L’hanno prodotta gli uomini che sanno mantenere il dominio sulla realtà soltanto esercitando la violenza e la paura. La croce esprime l’abisso della perdizione a cui l’umanità si condanna rifiutando l’unica Signoria capace di fare regnare e colmare di dignità coloro che vi obbediscono. È la parola estrema e più contraddittoria dell’uomo rispetto all’originario progetto della creazione.

Proprio qui si manifesta però la profondità dell’Amore che ci raggiunge e ci salva esaltando la Croce di Gesù. È così grande la potenza della misericordia da penetrare fino alla radice del male e trasformare l’abisso delle tenebre in un’inesauribile sorgente di luce, la causa di morte in un invincibile principio di vita.

La Croce di Gesù così, se noi abbiamo il coraggio di levare gli occhi della nostra fede verso di essa, ci disarma, ci toglie tutti i nostri pretesti per rimanere fermi e chiusi nella nostra tristezza, nella nostra frustrazione di non essere capaci di fare il bene, nella nostra paura di non poter produrre opere che ci rendano amabili. Ci doni il Signore, per intercessione di San Giovanni Battista e di San Giovanni Evangelista, a cui questa chiesa madre di tutte le chiese è dedicata, di lasciarci ferire e guarire nel profondo dalla scoperta di esssere in ogni istante amati così.

14 Settembre 2016 | 08:00
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vescovo (110)
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