Giorno 1 – Omelie del Vescovo Valerio nel Pellegrinaggio a Roma

Traccia scritta dell’omelia

Martedì, 13 settembre Santa Maria Maggiore

Scoprirsi inondati dalla misericordia

Tutto è grande quando si arriva a Roma dal Ticino. È immensa la città, con il suo flusso continuo di abitanti, visitatori, pellegrini. Enorme il traffico, il rumore, il movimento. Ogni cosa pare eccessiva in questo luogo antico, carico di memorie antiche, pagane e cristiane, e di contraddizioni presenti, spesso difficili da decifrare. Il rischio è quello di sentirci un po’ frastornati, sovrastati, confusi e di desiderare qualcosa di più piccolo, di più modesto, di più alla nostra portata, per introdurci nel percorso di fede che qui vogliamo compiere in questo anno straordinario della misericordia. Ma, se è vero che è il silenzio e la dimensione domestica e feriale, le realtà che meglio ci aiutano a interiorizzare la Parola di Dio, a riflettere, a pregare, a prendere le buone decisioni che possono incidere concretamente sulla qualità della nostra vita e delle nostre relazioni, ciò non significa la rinuncia agli orizzonti ampi, al vasto respiro, alla capacità di pensare davvero in grande.

Proprio i testi che abbiamo ascoltato sottolineano una dimensione importante della vita cristiana, che proprio qui a Roma abbiamo l’occasione di riscoprire: l’universalità della diffusione del Vangelo, nel tempo e nello spazio.

Quando la bassezza della condizione umana è visitata dalla grazia, le prospettive si allargano, si accende l’attenzione per quello che accade in casa d’altri, il pensiero abbraccia la storia che ci ha preceduto e si estende con fiducia verso le generazioni future. Maria che corre da Elisabetta subito dopo l’evento dell’annunciazione è figura della Chiesa nella storia, rappresentazione efficace del dinamismo proprio di ogni esistenza cristiana.

Occorre guardarsi da una certa retorica della piccolezza, da una certo pensiero, apparentemente umile e modesto, che ci impedisce di guardare a che cosa succede fuori dal nostro ristretto ambito di vita, che ci induce a limitarci allo stretto fazzoletto delle nostre preoccupazioni e delle nostre ansie private. La Madre di Dio ci insegna che fuori dalla nostra porta di casa qualcuno attende la nostra visita, il suono della nostra voce, il nostro saluto, la nostra presenza concreta. La attende per uscire dalla propria timidezza, per assumere con fierezza e gioia l’avventura della propria fecondità nel mondo: «appena la voce del tuo saluto è giunta ai miei orecchi, il bambino ha esultato di gioia nel mio grembo».

Elisabetta era già madre prima, già «il Signore – come vengono a sapere presto i vicini e i parenti – aveva manifestato in lei la sua misericordia». Ma non basta non essere più sterili per conoscere davvero la bontà del Signore. Occorre scoprirsene inondati e sommersi per giungere a essere di essa traboccanti. E per questo l’incontro umano interpersonale è fondamentale e irrinunciabile e, da quel giorno in cui Maria ha lasciato in fretta la sua casa di Nazaret per recarsi in quella di Zaccaria ed Elisabetta, non ha cessato di riprodursi in mille circostanze e occasioni diverse fino a giungere a noi oggi, attraverso la possibilità che abbiamo ogni giorno e in ogni momento di lasciarci visitare dall’altro e di andargli incontro.

I cristiani non si presentano al mondo come uomini e donne migliori degli altri. Vivono semplicemente della coscienza di essere in ogni istante preceduti e inviati, perché «Dio, ricco di misericordia, da morti che eravamo per i peccati ci ha fatti rivivere con Cristo… Con lui ci ha anche risuscitati e ci ha fatti sedere nei cieli, in Cristo Gesù, per mostrare nei secoli futuri la straordinaria ricchezza della sua grazia mediante la sua bontà verso di noi in Cristo».

Non è forse questo il primo frutto che siamo chiamati a cogliere in questo pellegrinaggio diocesano a Roma? Arrivare a chiedere insieme al Signore, per intercessione di Maria, di liberarci da ogni residuo di pusillanimità, di grettezza, di resistenza a lasciarci dilatare il cuore a dimensioni più ampie di accoglienza, di ascolto e di disponibilità.

La misericordia di Dio non è un dono per risolvere semplicemente i nostri problemi individuali. È l’evento che ci fa riscoprire la nostra vera vocazione di creature, piccole, limitate, situate nel tempo e nello spazio, ma al contempo chiamati a farci grandi in Dio, a lasciarci plasmare dalla «straordinaria ricchezza della sua grazia» e a magnificare il Signore con la nostra vita. Maria santissima ci insegni che chi più ha imparato da Dio ad abbracciare con benevolenza la propria esiguità di creatura, più diventa fecondo e irradiante nei confronti dei fratelli e delle sorelle e di tutto il mondo. «Siamo infatti opera sua, creati in Cristo Gesù per le opere buone e belle che Dio ha predisposto perché noi le praticassimo».

13 Settembre 2016 | 09:00
Tempo di lettura: ca. 3 min.
vescovo (110)
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