Francesco a Rabat: «Osate vivere non come nemici ma come fratelli»

Un invito a far crescere la cultura della misericordia. È quello che Francesco lascia come suo messaggio alle 10mila persone di sessanta nazionalità che partecipano alla Messa conclusiva del viaggio papale, nel palazzetto dello sport di Rabat. Questa è la Messa con la maggiore partecipazione mai celebrata nel Paese maghrebino.

La parabola del Figlio Prodigo

Il Papa ricorda l’episodio del figliol prodigo: «»Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò». Così il Vangelo ci immette nel cuore della parabola che manifesta l’atteggiamento del padre nel vedere ritornare suo figlio: scosso nelle viscere non aspetta che arrivi a casa ma lo sorprende correndogli incontro». Un figlio «atteso e desiderato. Un padre commosso nel vederlo tornare». Ma quello non è stato l’unico «momento in cui il Padre si è messo a correre. La sua gioia sarebbe incompleta senza la presenza dell’altro figlio. Per questo esce anche incontro a lui per invitarlo a partecipare alla festa». Però, sembra «proprio che al figlio maggiore non piacessero le feste di benvenuto; non riesce a sopportare la gioia del padre e non riconosce il ritorno di suo fratello». Per lui suo fratello continua a essere «perduto, perché lo aveva ormai perduto nel suo cuore». Nella sua «incapacità di partecipare alla festa, non solo non riconosce suo fratello, ma neppure riconosce suo padre. Preferisce l’essere orfano alla fraternità, l’isolamento all’incontro, l’amarezza alla festa». Non solo «stenta a comprendere e perdonare suo fratello, nemmeno riesce ad accettare di avere un padre capace di perdonare, disposto ad attendere e vegliare perché nessuno rimanga escluso, insomma, un padre capace di sentire compassione».

Sulla soglia di ogni casa si manifesta una tensione tra «bene e male»

Per il Pontefice, sulla soglia di quella casa «sembra manifestarsi il mistero della nostra umanità: da una parte c’era la festa per il figlio ritrovato e, dall’altra, un certo sentimento di tradimento e indignazione per il fatto che si festeggiava il suo ritorno. Da un lato l’ospitalità per colui che aveva sperimentato la miseria e il dolore, che era giunto persino a puzzare e a desiderare di cibarsi di quello che mangiavano i maiali; dall’altro lato l’irritazione e la collera per il fatto di fare spazio a chi non era degno né meritava un tale abbraccio».

Così, ancora una volta emerge la tensione che si vive «tra la nostra gente e nelle nostre comunità, e persino all’interno di noi stessi. Una tensione che, a partire da Caino e Abele, ci abita e che siamo chiamati a guardare in faccia».

Riflette Francesco: «Chi ha il diritto di rimanere tra di noi, di avere un posto alla nostra tavola e nelle nostre assemblee, nelle nostre preoccupazioni e occupazioni, nelle nostre piazze e città?». E sempre in «quella casa appaiono le divisioni e gli scontri, l’aggressività e i conflitti che percuoteranno sempre le porte dei nostri grandi desideri, delle nostre lotte per la fraternità e perché ogni persona possa sperimentare già da ora la sua condizione e dignità di figlio». Ma a sua volta, «sulla soglia di quella casa brillerà con tutta chiarezza, senza elucubrazioni né scuse che gli tolgano forza, il desiderio del Padre: che tutti i suoi figli prendano parte alla sua gioia; che nessuno viva in condizioni non umane come il suo figlio minore, né nell’orfanezza, nell’isolamento e nell’amarezza come il figlio maggiore».

«Sono innegabili le situazioni che possono condurci a scontri e divisioni»

Certamente sono tante «le circostanze che possono alimentare la divisione e il conflitto; sono innegabili le situazioni che possono condurci a scontrarci e a dividerci. Non possiamo negarlo.

«Ci minaccia sempre la tentazione di credere nell’odio e nella vendetta come forme legittime per ottenere giustizia in modo rapido ed efficace», avverte il Papa. Però «l’esperienza ci dice che l’odio, la divisione e la vendetta non fanno che uccidere l’anima della nostra gente, avvelenare la speranza dei nostri figli, distruggere e portare via tutto quello che amiamo».

Perciò Cristo esorta a guardare e «contemplare il cuore del Padre. Solo da qui potremo riscoprirci ogni giorno come fratelli». Solo a partire da questo «orizzonte ampio, capace di aiutarci a superare le nostre miopi logiche di divisione, saremo capaci di raggiungere uno sguardo che non pretenda di oscurare o smentire le nostre differenze cercando forse un’unità forzata o l’emarginazione silenziosa».

Soltanto se «siamo capaci ogni giorno di alzare gli occhi al cielo e dire «Padre nostro» potremo entrare in una dinamica che ci permetta di guardare e di osare vivere non come nemici, ma come fratelli».

«Tutto ciò che è mio è tuo», dice il padre «al figlio maggiore. E non si riferisce solo ai beni materiali ma al partecipare del suo stesso amore e della sua compassione. Questa è la più grande eredità e ricchezza del cristiano». Perché, invece di «misurarci o classificarci in base ad una condizione morale, sociale, etnica o religiosa, possiamo riconoscere che esiste un’altra condizione che nessuno potrà cancellare né annientare dal momento che è puro dono: la condizione di figli amati, attesi e festeggiati dal Padre».
Bergoglio invita a non cadere «nella tentazione di ridurre la nostra appartenenza di figli a una questione di leggi e proibizioni, di doveri e di adempimenti. La nostra appartenenza e la nostra missione non nasceranno da volontarismi, legalismi, relativismi o integrismi, ma da persone credenti che imploreranno ogni giorno con umiltà e costanza: «venga il tuo Regno»». La parabola ha un finale aperto: «Vediamo il padre pregare il figlio maggiore di entrare a partecipare alla festa della misericordia. L’Evangelista non dice nulla su quale sia stata la decisione che egli prese. Si sarà aggiunto alla festa? Possiamo pensare che questo finale aperto abbia lo scopo che ogni comunità, ciascuno di noi, possa scriverlo con la sua vita, col suo sguardo e il suo atteggiamento verso gli altri». Il cristiano è consapevole «che nella casa del Padre ci sono molte dimore, e rimangono fuori solo quelli che non vogliono partecipare alla sua gioia».

«Fate crescere la cultura della misericordia»

Il Papa ringrazia il fedeli marocchini «per il modo in cui date testimonianza del vangelo della misericordia in queste terre. Grazie per gli sforzi compiuti affinché le vostre comunità siano oasi di misericordia». Li incita a continuare «a far crescere la cultura della misericordia, una cultura in cui nessuno guardi l’altro con indifferenza né giri lo sguardo quando vede la sua sofferenza».

fonte: agenzie/red

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31 Marzo 2019 | 17:24
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