Esercizi spirituali, la sete di Dio tra Ionesco e «Il piccolo Principe»

Siamo esseri inquieti, limitati, vulnerabili. Uomini e donne «incompleti e in costruzione». Assetati «di relazioni, di accettazione e di amore». Solo Gesù può soddisfare questa «sete»; Lui stesso dice infatti nell’Apocalisse: «Chi ha sete, venga».

 

Le Sacre Scritture si mescolano al teatro dell’assurdo di Eugene Ionesco e alla letteratura fantastica de «Il piccolo Principe», il capolavoro di Antoine de Saint Exupery, nelle meditazioni che il sacerdote portoghese Josè Tolentino de Mendonça svolge per gli Esercizi spirituali di Quaresima del Papa e della Curia romana, iniziati ieri pomeriggio nella Casa Divin Maestro di Ariccia . Teologo e poeta, anche vicedirettore dell’Università Cattolica di Lisbona, padre Tolentino nella sua meditazione di questa mattina, la seconda dopo quella di ieri sera, si concentra sul tema della «Scienza della sete». La sua riflessione – informa Vatican News che riporta stralci della predicazione del sacerdote – definisce i contorni della «abbondanza» e della «gratuità» di vita che il Figlio di Dio offre all’uomo.

 

Gesù promette di dissetarci, consapevole di «quanti ostacoli ci frenano» e di quante «derive ci ritardano». Ma noi desideriamo colmare questa sete? Desideriamo, cioè, Dio? Sappiamo riconoscere la nostra sete? Siamo «così vicini alla fonte e andiamo così lontano», osserva il predicatore. D’altronde «non è facile esporsi alla sete»: essa «ci priva del respiro, ci esaurisce, ci sfinisce. Ci lascia assediati e senza forze per reagire… ci porta al limite estremo».

 

È ciò che accade a Jean, il protagonista maschile de «La sete e la fame» di Ionesco, un uomo «senza radici, né casa, incapace di creare legami, perduto nel vuoto del labirinto in cui ascolta solo il rumore solitario dei propri passi». La sua è una figura divorata da un «infinito vuoto», da «un’inquietudine che nulla sembra poter placare».

 

È la sete dell’uomo di oggi; una sete, spiega Tolentino, che «si tramuta nella disaffezione nei riguardi di ciò che è essenziale, in una incapacità di discernimento». Si può parlare dunque di «consumismo spirituale» che va di pari passo al consumismo materiale imposto dalla odierna società «come criterio di felicità». Con esso «il desiderio si trasforma in una trappola»: ogni volta infatti che pensiamo di appagare la nostra sete in una «vetrina», in un «acquisto», in un «oggetto», il possesso comporta la sua svalutazione, afferma don José. Questo fa crescere il vuoto: l’oggetto del nostro desiderio è un «ente assente», afferma, è un «oggetto sempre mancante».

 

Ci sono molti «modi di ingannare i bisogni e di adottare un atteggiamento di evasione spirituale senza mai prendere coscienza che siamo in fuga», sottolinea il predicatore. «Tiriamo in ballo sofisticate ragioni di redditività e di efficacia» sostituendo con esse l’«auscultazione profonda del nostro spazio interiore e il discernimento della nostra sete», dimentichi del fatto che non esistano e mai probabilmente esisteranno «pillole in grado di risolvere meccanicamente i nostri problemi». Perciò il Signore indica nuove direzioni: «Chi ha sete, venga; chi desidera, beva gratuitamente l’acqua della vita», non cessa di dirci.

 

L’invito è quindi a rallentare il «nostro passo» e prendere «coscienza dei nostri bisogni». A riporre in Dio la nostra sete «di relazioni, di accettazione e di amore», «un patrimonio biografico», afferma il teologo portoghese, che è presente in ogni essere umano dall’infanzia alla vecchiaia e che «siamo chiamati a riconoscere e ringraziare».

 

La riflessione di ieri sera di padre José Tolentino, la prima degli Esercizi Spirituali, si è snodata invece a partire dall’episodio riportato da Giovanni dell’incontro tra Gesù e la samaritana al pozzo. La richiesta «dammi da bere» fatta dal Messia, un giudeo, ad una donna della Samaria, regione popolata da dissidenti con i quali gli ebrei non andavano d’accordo, lascia disarmati dallo «stupore».

 

 

Proprio lo stupore è l’atteggiamento al quale invita il predicatore. Dobbiamo diventare «apprendisti dello stupore», dice al Papa e alla Curia. Stupore per un Dio che «è mendicante dell’uomo», che assume tutte le debolezze umane in «un corpo che sperimenta la fatica dei giorni», che è «consunto dalla cura amorevole degli altri». Gesù «è venuto a cercarci», rimarca Tolentino, «nel più abissale e notturno della nostra fragilità, sentiamoci compresi e cercati dalla sete di Gesù». La sua sete non è la nostra, non è una sete «d’acqua», è una sete più grande. «È sete di raggiungere le nostre seti, di entrare in contatto con le nostre ferite». Lui ci chiede: «Dammi da bere», noi «gliela daremo? Ci daremo da bene gli uni gli altri?».

 

Don José ha concluso invitando a sentirsi «abbracciati» da Dio: Lui «sa che noi siamo qui». Pertanto, nel nostro intimo, diciamogli: «Signore, io sono qui in attesa di niente. Che è come dire: sono solamente in attesa di te, in attesa di quello che tu mi dai».

Salvatore Cernuzio – VaticanInsider

20 Febbraio 2018 | 12:00
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