Ecuador, dove gli esclusi si sentono amati

Non c’è più il colera con i suoi effetti devastanti, ma c’è un’umanità scartata che ha bisogno di essere amata. A distanza di anni e a diverse latitudini non muta il carisma delle Ancelle delle Carità da sempre in prima linea nell’aiuto ai più deboli così come Paola Di Rosa fece nel lontano 1836 quando un’intera città (Brescia) venne colpita dalla terribile epidemia. La capacità di rispondere alla realtà è la stessa in Italia o nel mondo. Arrivate in Ecuador nel 1984, le Ancelle della Carità si sono distinte nell’evangelizzazione, nella formazione dei catechisti e nella pastorale ordinaria. Sono inserite nella scuola, lavorano negli ambulatori medici e visitano gli ammalati. Si occupano delle famiglie più povere e della promozione delle donne.

 

L’ultimo spazio, dedicato ai servizi per l’infanzia e ai laboratori di cucito, è stato aperto dalla Congregazione nel 2006 a Esmeraldas. «Paola – racconta suor Alexandra Alvear Bautista – è riuscita a leggere la storia in profondità e a sentirsi provocata da Dio. Ha fatto tutto per amore di Gesù Cristo. Non camminava mai da sola. Ha adorato e ha servito Cristo nel mistero della croce e dell’Eucaristia; ha adorato e ha servito Cristo nel mistero della sofferenza umana, perché l’altro occupa il posto di Cristo».

 

Suor Alexandra vive insieme ad altre due sorelle e due novizie a Quito, nel quartiere «La Yaguachi». Qui svolgono un lavoro sociale a stretto contatto con le famiglie più indigenti, fragili e ferite. In particolare, portano avanti il Ceipar (Centro di educazione integrale Paola Di Rosa), «una struttura nata nel 1989 che offre un ambiente adatto e accogliente in modo che i bambini e i giovani possano ricevere un’istruzione e vivere rapporti umani più significativi. Promuovono anche incontri con i genitori per migliorare la qualità della vita nella famiglia e nella comunità». Dal lunedì al venerdì, 250 ragazzi ricevono un pasto e trovano un riparo, diverso dalla strada, nel Centro: una grande percentuale, infatti, degli utenti ha subito maltrattamenti, è stata abbandonata o presenta carenze affettive.

 

Durante la mattinata varcano la porta del Ceipar anche circa 40 adulti (alcolisti, tossicodipendenti e mendicanti) che si ristorano e, soprattutto, trovano qualcuno (religiosi, autoctoni e volontari italiani in servizio civile) pronto ad ascoltarli. Lo sforzo organizzativo è grande. «Il programma e gli aiuti per indigenti vanno avanti grazie alla Provvidenza di Dio, che non viene mai meno grazie a un tessuto di solidarietà che punta a diventare sempre più grande. La bontà e la solidarietà generano sempre bontà e solidarietà. È questo il miracolo della vita».

 

L’opera delle suore, forse, è una goccia nel mare in un Paese dai molti problemi. «Di fronte al dolore e alla sofferenza che troviamo tutti i giorni, spesso ci sentiamo impotent i, soffriamo ma teniamo in alto la speranza. Il Signore, attraverso noi, i laici e le tante persone coinvolte, tergerà ogni lacrima e renderà possibile i cieli nuovi e una terra nuova. Ogni volta che troviamo un gesto piccolo o grande di solidarietà, sentiamo che Dio si manifesta con la sua Provvidenza». Suor Alexandra è consapevole che la missione richiede «un continuo processo di conversione personale e comunitaria per incontrare l’umanità sofferente, imparando che c’è maggiore gioia nel dare se stessi e nell’essere più umili». I poveri sono dei volti chiari e concreti, non sono una teoria astratta. «Tanti ragazzi, donne e persone escluse dalla società, si illuminano quando chiedo loro il nome o quando ricevono un gesto di affetto, una parola di conforto o quando si offre loro un piatto caldo». Semplicemente qualcuno si è preso cura di loro.

Luciano Zanardini – VaticanInsider

6 Dicembre 2017 | 07:10
Tempo di lettura: ca. 2 min.
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