«Dante e il suo poema», affresco di Domenico di Michelino nella cattedrale di Santa Maria del Fiore a Firenze.
Ticino e Grigionitaliano

Dante sa ancora donarci parole che ci rimettono in cammino

Nella grande messe di proposte culturali favorita dal settimo centenario della morte di Dante e dalla nuova ricorrenza del «Dantedì», certo molto generosa ma anche un po’ monocorde nel suo essere stata quasi del tutto inferno-centrica, è passata purtroppo sottotraccia la pubblicazione di una Lettera apostolica firmata da Papa Francesco e dedicata al rapporto privilegiato dell’opera di Dante con la tradizione cattolica. Con questo breve ma densissimo testo, Francesco non ha fatto altro che inserirsi, in fondo, in una lunga consuetudine di pronunciamenti papali in concomitanza di anniversari danteschi, che ha visto nel Novecento avvicendarsi i nomi di Benedetto XV e Paolo VI, di San Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, tutti concordi nel ribadire la loro vicinanza al più importante poeta della lingua italiana, perché intimamente radicato nell’esperienza di fede proposta dalla Chiesa di Roma. Il titolo stesso della lettera, Candor Lucis aeternae, «Splendore della Luce eterna», parte proprio dalle scaturigini dell’intuizione poetica di Dante, richiamando alla mente dei lettori il fatto che il viaggio ultraterreno della Commedia inizi non a caso il giorno dell’Annunciazione, prima data dell’anno nella Firenze medievale, quando si celebrava l’esaltazione della condizione umana (e la promessa della sua redenzione) resa possibile dall’incarnazione di Dio. Nel mettere al centro la propria esperienza personale, concreta e drammatica (l’esilio), riletta però attraverso la luce della fede, Dante diviene per Papa Francesco un «profeta di speranza», un «cantore del desiderio umano» che invita tutti a ripercorrere il medesimo viaggio all’insegna della misericordia e della libertà, verso quella pienezza di senso che soltanto l’incontro con il divino può offrire. «Si tratta di un cammino non illusorio o utopico ma realistico e possibile, in cui tutti possono inserirsi, perché la misericordia di Dio offre sempre la possibilità di cambiare, di convertirsi, di ritrovarsi e ritrovare la via verso la felicità». L’immagine di Dante che risalta maggiormente in questa lettera apostolica non è tanto quella dell’autore celebre e celebrato, quanto quella di un uomo in trasformazione, esempio per ogni altro uomo che, sostenuto dalla lettura della sua opera letteraria, voglia ripercorrerne le tracce. Così come Dante non fu solo nel suo viaggio, ma venne aiutato da tre figure femminili alle quali il Papa dedica un intero capitolo del suo testo (Maria, Lucia e Beatrice, in una scala gerarchica discendente tutta protesa verso la salvezza del pellegrino), così anche l’uomo di oggi può chiedere sostegno a chi è più prossimo alla beatitudine celeste. Sostenuto dall’omonimia e dalla sua personale devozione, Francesco propone proprio il Poverello di Assisi, lo «sposo di Madonna Povertà» a cui Dante dedica versi indelebili nel canto XI del Paradiso («nel crudo sasso intra Tevero e Arno / da Cristo prese l’ultimo sigillo, / che le sue membra due anni portarno»). Chiude la lettera, che si lascia apprezzare anche per la conoscenza a vasto raggio dell’opera di Dante, ben oltre il perimetro della sola Commedia, un appello agli artisti e agli intellettuali cattolici, cui per primi spetta il compito di tenere vivo e reinterpretare continuamente il lascito dantesco, affinché la sua testimonianza possa venire accolta e compresa anche dall’uomo di oggi: «In questo particolare momento storico, segnato da molte ombre, da situazioni che degradano l’umanità, da una mancanza di fiducia e di prospettive per il futuro, la figura di Dante, profeta di speranza e testimone del desiderio umano di felicità, può ancora donarci parole ed esempi che danno slancio al nostro cammino».

Pietro Montorfani,
direttore dell’Archivio storico della Città di Lugano

«Dante e il suo poema», affresco di Domenico di Michelino nella cattedrale di Santa Maria del Fiore a Firenze.
6 Aprile 2021 | 06:30
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