Chiesa

Da Rahner all’arte della buona vita. È morto il cardinale teologo Lehmann

Per 21 anni il cardinale Karl Lehmann, deceduto ieri a Magonza in seguito a un ictus cerebrale, è stato il presidente dei vescovi tedeschi, fino a quando nel 2008 si è dovuto dimettere per problemi di salute. Ogni volta che veniva a Roma girava a piedi tra parrocchie, biblioteche e collegi universitari come un semplice sacerdote. Il suo motto episcopale era «State saldi nella fede» e nella sua vita ha unito passione per gli studi teologici e sollecitudine pastorale, soprattutto verso i più bisognosi.

 

«Nelle sfide del mondo contemporaneo, la sua stella polare è sempre stato il Concilio Vaticano II – afferma a Vatican Insider l’arcivescovo Vincenzo Paglia, presidente della Pontificia Accademia per la vita – Lehmann ha sempre testimoniato il Vangelo in dialogo con tutti: un autentico apostolo della carità e dell’ecumenismo. Fin dai primi anni ’80 è stato una figura centrale nelle fasi principali del confronto fra cristiani».

 

Nel 1984 è entrato nel circolo per il dialogo fra rappresentanti della Conferenza episcopale tedesca e quelli del consiglio della Chiesa Evangelica di Germania per poi presiedere il dialogo evangelico-luterano/cattolico-romano fra la Federazione luterana mondiale e il Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani.

 

Quattro volte (1987, 1993, 1999, 2005) è stato eletto alla guida della Conferenza episcopale tedesca. Da tre mesi il Porporato 81enne era degente a causa di una grave emorragia encefalica. Nei ultimi giorni la sua salute era peggiorata visibilmente e il successore alla diocesi di Magonza, Pietro Kohlgraf, aveva chiesto ai fedeli di pregare per il loro ex Vescovo.

 

Celebre l’appello di Lehmann nel 2007 sugli effetti negativi delle rappresentazioni della violenza nei mezzi di comunicazione di massa, con riferimento soprattutto ai video girati con il telefonino e alle scene di pestaggi. Giornali e televisioni, secondo il Cardinale, devono «dare stimoli a interrogarsi sulle domande esistenziali». Il suo percorso accademico lo ha portato da Friburgo all’Università Gregoriana e al Pontificio Collegio germanico-ungarico.

 

Dopo la laurea in Filosofia all’Ateneo romano dei Gesuiti con una tesi sul pensiero di Martin Heidegger è stato per cinque anni assistente a Monaco di Karl Rahner fino a raggiungere la cattedra di Dogmatica alla facoltà di Teologia di Magonza.

 

Vescovo di Magonza per ben 33 anni (dal 1983 al 2016) è stato membro dell’ex Sant’Uffizio, di Propaganda Fide, della Congregazione per le Chiese Orientali, segretario dell’assemblea del Sinodo per l’Europa e Presidente del Consiglio delle Conferenze episcopali europee.

 

Decine i libri scritti e le onorificenze ricevute in mezzo secolo di attività al servizio della Chiesa. È diventato Cardinale nel 2001 allo stesso Concistoro in cui è stata conferita la porpora a Jorge Mario Bergoglio e ha partecipato agli ultimi due conclavi. Nel 2011, in occasione del suo 75° compleanno per la rivista Il Regno aveva richiamato la necessità di un rinnovamento spirituale interno alla Chiesa.

 

«La Chiesa di popolo com’è esistita sinora sta cambiando e acquista nuove dimensioni – spiegò – La fede si presenta sempre più come una realtà basata sulla decisione del singolo. Alcune delle difficoltà sono dovute al fatto che si sono sgretolati gli ambienti religiosi e culturali entro cui è stato possibile vivere sinora la propria fede. È un processo che tocca sia noi cattolici sia i protestanti». E sul futuro della società europea che invecchia e il rapporto con l’esperienza della morte aggiunse: «La morte appartiene alla vita, come teologo e come vescovo sono costantemente messo a confronto con la realtà della morte e con l’esperienza che ne fa la comunità ecclesiale». Perciò «il dolore per la separazione da quanti ci lasciano non può impedirci di riflettere sulla nostra stessa fine e per farlo adeguatamente è necessario maturare un equilibrato atteggiamento nei confronti della vita». E ciò che la morte insegna può essere appreso solo grazie a una continua sperimentazione dei propri limiti, a un «esercizio» della morte nella propria vita: la nostra esistenza è caratterizzata dalla capacità di saperci accomiatare».

 

È «un’arte che va ben presto appresa e praticata. Dobbiamo sapere rinunciare in tempo alle cose, al prestigio e al potere: l’ars morendi altro non è che l’arte della vita buona».

 

È stato il cancelliere Angela Merkel, secondo quanto riporta il settimanale Spiegel, a ricordare oggi il ruolo di «mediazione privilegiata» incarnato da Lehmann «tra i cattolici tedeschi e Roma, tra le Chiese cristiane con uno spirito ecumenico e al tempo stesso tra cristiani e credenti di altre religioni». E fu proprio lo storico Presidente dei vescovi tedeschi a chiedere nel 2010 che la Chiesa si assumesse delle responsabilità nello scandalo dei preti pedofili.

 

Francesco ricorda Lehmann in un telegramma indirizzato al vescovo di Mainz esprimendo il suo «dolore» per la scomparsa del porporato tedesco. «Nella sua lunga attività come teologo e Vescovo, nonché da Presidente della Conferenza Episcopale Tedesca, ha contribuito a plasmare la vita della Chiesa e della società. Sempre ha avuto a cuore – scrive Francesco nel messaggio – l’apertura alle domande e alle sfide del tempo e di offrire risposte e orientamenti a partire del messaggio di Cristo, per accompagnare le persone lungo il loro cammino, cercando ciò che unisce oltre i confini delle confessioni, convinzioni e Stati».

Giacomo Galeazzi – VaticanInsider

12 Marzo 2018 | 19:00
Tempo di lettura: ca. 3 min.
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