Cure palliative in Ticino in ambito interculturale e interreligioso

La Svizzera italiana è sempre più multiculturale e interreligiosa, un contesto questo foriero di indubbie potenzialità ma anche di inevitabili sfide all’integrazione. Eva De Clercq, giovane ricercatrice belga della Facoltà di teologia di Lugano (FTL) e dell’Università di Basilea, ha presentato nei giorni scorsi alla FTL uno studio realizzato in Ticino e dedicato «alle cure palliative in ambito interculturale e interreligioso». La ricerca, grazie alla raccolta di interviste, ha voluto mettere a fuoco le difficoltà che affrontano gli operatori sanitari con pazienti e loro famigliari appartenenti a minoranze culturali e religiose nel territorio cantonale. Le cure palliative sono un ambito umano delicatissimo, un tempo della vita dei pazienti e dei loro familiari in cui emergono o riemergono vissuti, domande di senso e questioni spirituali importanti. «Le cure palliative oggi non si riducono all’intervento sanitario – ci spiega De Clercq– ma si estendono ad una se- rie di accompagnamenti: sociali, psicologici e spirituali, anche in Svizzera dove la strategia nazionale pro- muove una integrazione di diverse figure professionali (infermiere, me- dico, sociologo, psicologo, assistente spirituale) e di una pluralità di forme di accompagnamento del paziente». Oltre ad interviste rivolte a coloro che operano accanto ai mala- ti, la De Clercq ha interpellato i rappresentanti di alcune consistenti minoranze religiose presenti sul territorio ticinese, tra loro musulmani, buddisti ed ebrei. «I musulmani so- no la minoranza religiosa che è più in crescita, ma non sono affatto i pazienti più problematici, come l’immaginario collettivo potrebbe ritenere. L’islam non è una religione uniforme, ma è molto differenziata e intrecciata con gli usi e costumi dei paesi d’origine». Dal substrato religioso comune a tutti gli islamici, che c’è e non va perso di vista, emerge quindi il singolo caso, con i suoi peculiari tratti etnico – culturali che interagiscono con la fede. Generalizzare quindi non aiuta: si tratta per gli operatori sanitari di confrontarsi con le singole storie. Quali sono – allora – le maggiori problematiche ri- scontrate dalla ricerca? Secondo l’autrice sono quelle legate alla comunicazione. «Ad esempio – ci racconta – con i pazienti più anziani che non conoscono l’italiano. In questo caso sia la famiglia già integrata, sia il gruppo etnico di appartenenza, svolgono un importante ruolo di mediazione che rende meno complesso il lavoro degli operatori». Se- condo la ricercatrice la forte dimensione comunitaria dei gruppi religiosi di appartenenza è una potenzialità da sfruttare, proprio nell’ottica di una mediazione. Ma da queste tradizioni d’origine emergono pure problemi di dialogo interculturale.

Un esempio è dato dalla comunicazione della diagnosi, che in Svizzera avviene in modo diretto al paziente, mentre in altre culture può essere riservata alla famiglia che solo successivamente decide se trasmetterla o meno al malato. In sintesi, secondo la ricerca nonostante le linee guida generali esistenti, si riscontra la necessità di una maggiore formazione ed educazione nelle cure palliative, in grado di offrire strumenti per affrontare i singoli casi. «Le persone che arrivano da noi provenienti da queste culture sono spesso religiose e quindi è importante conoscere le loro fedi, ma sarebbe riduttivo pensare che basti una conoscenza generale di questi credi. Oggi, per affrontare nella cura i singoli casi, è impor- tante che gli operatori prestino ascolto, con umiltà, ai pazienti e che si confrontino tra di loro in maniera interdisciplinare per prendere consapevolezza di eventuali pregiudizi», conclude la ricercatrice.

Per approfondire l’argomento esiste una piattaforma svizzera delle cure palliative www.plattform-palliativecare.ch

Cristina Vonzun

31 Agosto 2019 | 07:05
Tempo di lettura: ca. 2 min.
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