Cristiani sempre più perseguitati, sono 215 milioni nel mondo

Oltre 215 milioni (circa 1 ogni 12 pari all’8,6%) i cristiani che subiscono persecuzioni nel mondo, 3060 quelli uccisi, 1922 incarcerati, 793 chiese prese di mira: sono queste le cifre del Rapporto 2018 pubblicato ieri dalla Ong Portes Ouvertes/Open Doors (periodo di riferimento 1° novembre 2016-31 ottobre 2017). 

 

Nel suo nuovo Indice Mondiale della persecuzione dei cristiani, l’organizzazione – fondata nel 1955 da un giovane olandese Ann Van der Bijl (poi frère André), che raggruppa una ventina di associazioni indipendenti operanti in più di 60 Paesi a servizio dei cristiani perseguitati – rivela che la persecuzione si è andata allargando a livello geografico e numerico (+1,13% rispetto all’anno precedente, ma il numero delle vittime cresce del 154% rispetto ai 1207 del 2017). Se l’estremismo islamico resta la causa principale, l’aumento dei nazionalismi di matrice religiosa o ideologica costituisce oggi una seria minaccia in particolare in Medioriente e Sud-est asiatico. 

 

«Abbiamo constatato che un po’ dappertutto il ritorno del nazionalismo ha sempre più spesso una connotazione religiosa», ha dichiarato nella conferenza stampa di presentazione Michel Varton, direttore di Portes Ouvertes di Francia, autore della presentazione del Rapporto che prende le mosse dal 500esimo anniversario della Riforma protestante, «un processo – scrive – che, non senza dolore, ha condotto verso un Occidente tollerante nei confronti delle diverse credenze e fautore della separazione tra il potere politico e la religione». Varton confessa di aver scritto l’introduzione in preda all’emozione per la notizia giunta poco prima dal Pakistan, dove il 17 dicembre scorso un amico della comunità cristiana di Quetta, Sohail Yousuf, aveva perduto le due figlie di 13 e 16 anni a seguito di un attacco. 

 

A fianco dell’Islam, il «primo nazionalismo di matrice religiosa al mondo», implicato in ben 40 dei 50 Paesi dove i cristiani sono più perseguitati, esistono altre religioni, quali buddismo, induismo e confucianesimo che sono identificate come religioni di Stato (in India, Myanmar, Nepal o Cina). Poi c’è il comunismo, la «religione atea» che gioca un ruolo analogo in Stati come Laos o Corea del Nord, il Paese che ha il triste primato di collocarsi, anche per il 2018, e per il 17° anno consecutivo, in vetta della World Watch List delle persecuzioni, seguito a ruota dall’Afghanistan.  

 

In entrambi i casi – ma si tratta di un dato che ha poche eccezioni anche nella situazione delle altre nazioni esaminate – il livello globale delle persecuzioni è in costante aumento negli ultimi cinque anni: la Corea del Nord passa da 92 a 94, l’Afghanistan da 89 a 93, ma cresce anche in Paesi come Giordania (21° posto da 63 a 66, Tagikistan, 22° da 58 a 65, Malesia, 23° da 60 a 65, Turchia, 31° da 57 a 62); alcuni fanno eccezione, come il Pakistan al 5° posto che scende da 88 a 86, la Nigeria al 14° da 78 a 77, il Kenya 32° da 68 a 62 o il Bangladesh, 41° da 63 a 58. 

 

Tenuto conto della difficoltà a reperire i dati nei Paesi dove esistono conflitti in corso, il punteggio totale è la somma di una serie di parametri legati a oppressione e violenza (persecuzione estrema da 81 a 100 punti, molto forte da 80 a 61 punti, forte tra 60 e 41): così la Nigeria per mano della setta islamista Boko Haram ha un numero di omicidi (2000) più che raddoppiato rispetto al rapporto 2017, ma inferiore alle 7.100 vittime del 2016. 

 

Tra i Paesi dove la violenza è in crescita la Libia (7° posto), l’India (11°), l’Egitto(17°), ma non sono da meno il Nepal, entrato di forza al 25° posto in classifica, o l’Azerbaigian al 45°. In fondo alla lista il Bahrein (48°) cresce da 54 a 57, la Colombia (49°) da 53 a 56, chiude Gibuti (50°) che invece scende, se pure di poco, da 57 a 56. Tra le pochissime luci spicca il dato della Siria, passata dal 15° al 6° posto, probabilmente a causa della perdita del controllo del Daesh sul territorio. 

 

Se si va a guardare la geografia delle persecuzioni, Europa, Nord America e Oceania sono esenti (1 cristiano ogni 75 mila può dirsi perseguitato), ma è ben radicata la persecuzione in Centroamerica e in Sudamerica (Messico al 39° posto e Colombia al 49°), mentre 14 sono i Paesi africani coinvolti (pari a 81 milioni di cristiani perseguitati, circa 1 su 8) e 34 quelli asiatici con 113 milioni di perseguitati pari a 1 su 4. 

 

Il Rapporto evidenzia due tipi di persecuzione: quella «martellante» che consiste in una violenza fisica e materiale di carattere brutale che include anche l’incarcerazione dei cristiani, spesso per futili motivi, fino alla soppressione fisica, e la persecuzione «velata, ma opprimente» costituita da un’oppressione discreta, come discriminazione e limitazione dei diritti, marginalizzazione, celebrazione di processi truccati, in pratica una persecuzione che viola la vita privata, la famiglia e gli affetti, la convivenza sociale e civile e la vita all’interno della comunità ecclesiale. 

 

Pakistan, Centrafrica e India sono i Paesi con il maggior numero di edifici religiosi presi di mira come bersaglio di attentati: in Pakistan si sono contati 168 attacchi alle chiese (nel 2017 erano stati 160 e nel 2016-17), ma anche l’India ha registrato un aumento di oltre il 50% e in Sudan per decisione del governo è stato avviato un piano drastico di demolizione di ben 27 chiese. 

 

India, Eritrea e Cina vantano il più alto numero di cristiani detenuti arbitrariamente perché vittime di interpretazioni soggettive di leggi contro la libertà religiosa, mentre Centrafrica, Congo, Cameroun e Nigeria contano la cifra più alta di persone sfollate per motivi religiosi per un totale che sfiora i 34mila.  

 

12 Gennaio 2018 | 18:10
Tempo di lettura: ca. 3 min.
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