Corti: la competitività è nemica del dialogo generazionale
È questa necessità di apprendere ed esplorare attraverso l’ascolto, che spinge il cardinale a pensare alle sfide. Quella che tocca tutto il mondo cattolico e la Chiesa stessa, a cominciare dal rapporto sacerdoti-fedeli. «Anche oggi, ogni volta che io esco dalla sacrestia per celebrare messa sento che devo affrontare una sfida e mi chiedo: riuscirò a farmi sentire e capire sino in fondo alla chiesa, entrare in sintonia con tutti? E poi: a queste persone Dio che cosa vorrebbe dire? Ecco a tutti i preti ricorderei che in quel momento non si può barare o giocare, perché la gente comprende subito se la campana suona bene oppure è stonata. Ricordo che quando fui nominato vescovo il nunzio apostolico di Roma mi disse che se i preti sono bravi il vescovo può dormire sonni tranquilli».
I giovani, altro nodo cruciale. «Esiste un conflitto generazionale che ormai dura da circa 25 anni, da quando è intervenuta una rivoluzione, quella digitale, che ha complicato il rapporto tra generazioni. Ma non sarebbe del tutto esatto semplificare così: per comprendere questi cambiamenti forse occorre spostare l’attenzione sui genitori le cui scelte di fondo direi che risentono molto di un’altra precedente rivoluzione, quella del ’68, la quale ha toccato molto e in profondità soprattutto le donne. Ricordo che già allora alcuni comportamenti, per molte famiglie il battesimo era diventato un atto sul registro. E sono cambiate anche tante altre cose. Ad esempio gli stili che hanno modificato i ritmi di vita dei ragazzi: l’ossessione della competizione e della competitività nelle discipline sportive, con allenamenti tali ormai da bruciare i pochi spazi liberi del sabato e della domenica. Tutto questo sembra favorire le relazioni, in realtà genera incomunicabilità in seno alle famiglie dove spesso i ragazzi dialogano soltanto con se stessi, il tablet o il pc. Insomma, meno sms e parlarsi di più. Quando vado nelle parrocchie a cresimare, da un po’ di tempo adotto questo sistema: chiedo ai cresimandi di scrivere perché fanno la cresima, dico loro di scrivere quello che pensano veramente. E’ un modo per guardarsi dentro e capire i loro punti di vita. Una metodologia che ho adottato anche con i vescovi provenienti da tutto il mondo per alcuni incontri in Vaticano: pongo una domanda su un problema che attraversa la Chiesa e poi chiedo loro di fornire la risposta scritta. Al termine confrontiamo tutte le risposte e apriamo il dibattito».
Il crollo delle vocazioni. «Non è questo il vero problema, ma – come ha scritto Papa Benedetto XVI – il calo della fede in tutta Europa, dove prevale la logica dell’avere più che si può, del correre per non restare indietro, del populismo dilagante. Tutto ciò genera tensione e non aiuta a costruire».