Congresso americano missionario: la preoccupazione per Venezuela, Nicaragua, Honduras, Haiti e frontiera Messico-Usa

La difficile situazione che stanno vivendo diversi Stati americani rimbalza fino al quinto Congresso missionario americano, in corso di svolgimento fino a domani a Santa Cruz de la Sierra (Bolivia). Un comunicato presentato ieri in una conferenza stampa da padre Leonardo Rodríguez, direttore delle Opere missionarie pontificie (Pom) dell’Uruguay, in rappresentanza delle Pom di tutto il continente parla di dolore per le situazioni che si vivono in Venezuela, Nicaragua, Haiti, Honduras e per i migranti separati dalle loro famiglie negli Stati Uniti. Tutte situazioni spesso circondate da «indifferenza e silenzio».

Il comunicato, esprimendo condanna per le persone che soffrono e che hanno perso la loro vita in tali contesti, rivolge «un appello nel nome di Gesù» perché a prevalere siano «la pace, il dialogo, il perdono e la riconciliazione». Si chiede inoltre ai mezzi di comunicazione di essere «protagonisti della trasformazione dei cuori, essendo portatori dell’integrale verità dei fatti».

Ieri la terza giornata del Congresso è stata caratterizzata da numerosi seminari e dibattiti che hanno visto impegnati i 2.800 delegati presenti. Tra i temi affrontati quelli della testimonianza cristiana di fronte al tema delle migrazioni, del rapporto tra catechesi e missione e delle comunicazioni sociali.

In aperture di giornata la relazione del presidente della Conferenza episcopale cilena, mons. Santiago Silva Retamales, sul tema «Annunciare Cristo nel mondo d’oggi». Il presule ha tra l’altro ricordato l’evoluzione degli ultimi decenni, in cui si è passati da un’evangelizzazione pre-conciliare, centrata sulla Chiesa vista come esclusivo strumento di salvezza, all’idea che la Chiesa non è l’unica detentrice della presenza di Cristo, che appunto «è più grande della Chiesa». La Chiesa, perciò, è «al servizio della missione», «è in uscita non per far entrare in gli altri al suo interno, ma per collaborare al progetto del Padre affinché Cristo germogli dove non c’è».

Nella cultura di oggi diventa importante «dialogare con le diverse realtà, dove non mancano i semi del verbo». Oggi occorre «farsi carico dell’umanità della persona» per presentare «l’immagine di Cristo nella nostra persona». Secondo mons. Silva, siamo chiamati a «passare da un’evangelizzazione centrata nell’argomentazione a una centrata sulle immagini».

«Il kerigma è un atto di comunicazione», non solo verbale. Per questo occorre che «la nostra corporeità sia evangelizzata» e «che noi stessi siamo la buona notizia».

AgenziaSir

13 Luglio 2018 | 13:33
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