I volti dei martiri di El Salvador
Internazionale

Condannato a 133 anni di carcere il mandante della strage dei padri gesuiti a El Salvador

Innocente Montano, colonnello dell’esercito salvadoreno e ex primo ministro del Paese è stato condannato a 133 anni e 4 mesi di carcere da un tribunale National di Madrid per essere ritenuto il mandante di una delle più terribili stragi che colpì la Chiesa cattolica in America latina: l’assassinio nel 1989 dei gesuiti dell’Università Centroamericana Josè Simeon Cana di El Salvador. Furono 8 le persone a perire, tra questi 5 gesuiti di origine spagnola e uno salvadoregno, la cuoca dell’Università e la figlia di 16 anni. La sentenza dichiara che «gli omicidi furono architettati, pianificati, concordati e ordinati dai membri dell’alto comando delle forze armate del Paese», di cui facevano parte Montano e il presidente di allora, Alfredo Cristiani, che le autorità del Salvador non hanno voluto consegnare alla giustizia spagnola.

Il massacro

I martiri di quel 16 novembre 1989 riposano nella cappella di mons. Romero nel recinto dell’Università del Centroamerica (UCA). Alla memoria: Celina ed Elba Ramos, Ignacio Martin-Barò, Armando Lopez, Juan Ramon Moreno, Segundo Montes, Ignacio Ellacuria, Joaquin Lopez y Lopez. Sei padri gesuiti, la cuoca e la figlia di 16 anni.

Il teologo Sobrino scampò al massacro perché si trovava in Thailandia. Un altro gesuita era andato a dormire in un’altra comunità. Di otto erano presenti sei e furono assassinati.

Vennero di notte i soldati del presidente Cristiani, forzarono la porta d’ingresso della casa, li fecero uscire nel giardinetto e spararono loro alla testa. I soldati gettarono a terra macchine da scrivere, computer, registri, video e rubarono documenti e registri. Entrarono nella cappella di mons. Romero, presero di mira la grande foto e spararono al cuore.

I gesuiti erano persone che disturbavano. Erano chiamati comunisti e marxisti, anti-patrioti, persino atei. Si voleva ridurli al silenzio, magari allontanarli dal Paese, disperderli o ucciderli.

Era il Vangelo la loro ispirazione

Il teologo Sobrino conosceva bene i suoi colleghi e confratelli. Disse all’indomani del crudele assassinio che erano cristiani autentici e coraggiosi, convinti di seguire Gesù di Nazaret nella lotta di liberazione dall’ingiustizia e da ogni sopruso. Conoscevano certamente il marxismo per analizzare la situazione di oppressione nel terzo mondo, ma tenevano conto dei seri limiti dell’analisi marxista. Non fu mai il marxismo la loro fonte principale di ispirazione. Il rettore, Ignacio Ellacuria, era un eminente discepolo del filosofo spagnolo Xabier Zubiri.

«Una poesia per loro»

Il 22 marzo del 1990, alle 7 del mattino, il vescovo emerito di Sao Felix, in Brasile, Pedro Casaldaliga, si recò al «Centro pastorale mons. Romero» per visitare il luogo del massacro. S’incontrò per caso con Obdulio, marito di Elba, la cuoca, e padre di Celina, entrambe crivellate di colpi. Obdulio era intento al suo lavoro. Stava ponendo piante di rose nel luogo del martirio. I due si abbracciarono.

Il vescovo voleva donare qualcosa al marito e padre. Aveva un rosario e glielo diede. Lui se lo pose al collo. Il giorno dopo, don Pedro, poeta molto noto, scrisse questi versi dedicati ai martiri dell’UCA e al popolo ferito:

Già siete la verità in croce

e la scienza in profezia

ed è completa la compagnia

compagni di Gesù.

Il giuramento compiuto, 

la UCA e il popolo ferito

dettano la stessa lezione

dalle cattedre-fosse

e Obdulio cura le rose

della nostra liberazione.

agenzie/red

I volti dei martiri di El Salvador
15 Settembre 2020 | 08:16
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