Commento

Commento al Vangelo della 20esima Domenica del Tempo ordinario

Calendario romano: Lc 12, 49-53

«Uomini e donne fatti nuovi dall’amore»
Può sembrare strano sentire Gesù parlare di fuoco e di divisione: «Sono venuto a gettare fuoco sulla terra, e quanto vorrei che fosse già acceso! […] Pensate che io sia venuto a portare pace sulla terra? No, io vi dico, ma divisione». In effetti, egli è la manifestazione suprema dell’Amore di Dio a ogni uomo e a ogni donna (pace); è la rivelazione della Presenza di Dio (Spirito-Fuoco) accanto alle situazioni di vita concreta di ciascuno di noi, dalle più felici alle più dolorose. Ma l’annuncio dell’Amore e della Presenza di Dio è sempre e solo invito, non costrizione. Sta a noi accoglierlo o rifiutarlo: è un messaggio esigente, scomodo, difficile, impegnativo. Esso non genera automaticamente adesione e, quand’anche, non genera adesione incondizionata: genera anche resistenza, opposizione, divisione. La prima lettura ci offre un esempio di annuncio veritiero da parte del profeta Geremia, un messaggio che genera, da una parte, discordia, opposizione, persecuzione; dall’altra, anche un’ossequiosa adesione da parte di una minoranza di fedeli. Proprio perché invito, di fronte alla Verità vi è la possibilità dell’accoglienza o del rifiuto: da questi atteggiamenti fondamentali scaturisce o la pace o la divisione. Le parole di Gesù esemplificano questo, quando dice che la risposta della libertà (adesione o rifiuto) è qualcosa di così profondo da intaccare anche i rapporti umani più stretti, come quelli familiari: «saranno divisi tre contro due e due contro tre». Ma ancora più radicalmente questo annuncio-messaggio-invito tocca anche le corde più profonde del nostro cuore, perché anche noi, che al Signore già abbiamo dato una risposta nella fede, abbiamo delle «zone» della nostra personalità che ancora si oppongono, resistono, ostacolano l’accoglienza della «Verità tutta intera», dell’Amore di Dio, dello Spirito- Fuoco. Sono quelle zone di noi che ci fanno fare fatica, che si oppongono alla conversione, che ci rendono difficili le relazioni con noi stessi, con gli altri e anche con Dio. È ciò che ancora ci fa «uomo vecchio», anziché «nuovo» o «rinnovato» in virtù del Battesimo e della fede. Quale soluzione ci viene prospettata di fronte a così tanta conflittualità e a così tanta divisione? È l’autore della Lettera agli Ebrei a suggerirci l’atteggiamento più proficuo: «Corriamo con perseveranza nella corsa che ci sta davanti, tenendo fisso lo sguardo su Gesù, colui che dà origine alla fede e la porta a compimento». Sì, perché è Lui, Gesù, il modello e l’archetipo del vivere cristiano, avendo lui stesso sopportato nella propria carne l’opposizione alla Verità, fino alle estreme conseguenze della Croce. Ed è solo da Lui che possiamo invocare la forza e l’aiuto necessario perché riusciamo in tutto questo. Come prega il Salmista: «Signore, vieni presto in mio aiuto».

Don Massimo Gaia

Calendario ambrosiano: Lc 18,24b-30

«Scegliere la povertà è il vero tesoro»

Che cosa è decisivo nella vita? Salomone il grande sovrano vissuto un millennio prima di Cristo, risponde alla nostra domanda con una preghiera rivolta a Dio perché gli conceda sapienza piuttosto che ricchezza. L’esempio di Salomone prepara la pagina evangelica che si concentra appunto su quella sapienza che è sequela del Signore Gesù liberando il cuore e le mani dall’accumulo dei beni. Sapienza che è consapevolezza che il vero tesoro dell’esistenza non sta nell’accumulo ma nell’incondizionata dedizione al Signore e alla sua parola: è Lui il tesoro, la perla di inestimabile valore. L’appello a liberarsi dal possesso percorre l’intero evangelo e ha il suo culmine nella beatitudine dei poveri, perché di essi è il Regno dei cieli. A molti questo elogio della povertà è sembrato la consacrazione della povertà, invito alla rassegnata accettazione della povertà con la promessa di una beatitudine che, nell’al di là, ricompenserebbe chi quaggiù ha patito povertà. E’ invece costante nei profeti l’invettiva nei confronti di coloro che con l’ingiustizia generano povertà: «Hanno venduto il giusto per denaro e il povero per un paio di sandali; essi che calpestano come la polvere della terra la testa dei poveri e fanno deviare il cammino dei miseri» (Am 2,6bs.). Per questo Dio è dalla parte dei poveri: «Non depredare il povero perché Dio difenderà la sua causa» (Prov 22,22). Anche la parole dell’evangelo odierno: «Più facile che un cammello passi per la cruna di un ago che un ricco entri nel Regno dei cieli», vuole con linguaggio paradossale, affermare l’incompatibilità tra accumulo delle ricchezze e Regno di Dio. Alla domanda «che cosa è decisivo nella vita?», l’evangelo odierno risponde con l’appello ad una scelta, sottolineo una scelta, di povertà. Se è maledizione la povertà creata dall’ingiustizia sociale è benedizione la povertà che ognuno di noi può scegliere, anzi deve scegliere se vuole essere discepolo del Signore. Se quindi la pagina evangelica non ci esonera dal compito di riconoscere le ragioni della povertà, le responsabilità e quindi le doverose riforme che assicurino maggiore equità, sempre la pagina evangelica impegna ognuno di noi ad uno stile di vita sobrio, alieno dallo spreco e dal lusso, capace di vera condivisione. La pagina evangelica riporta alla mia memoria un episodio della vita di don Lorenzo Milani, il prete fiorentino che dedicò la vita alla cura di un piccolo gruppo di ragazzi a Barbiana, sull’Appennino toscano. Sul letto di morte don Lorenzo disse: «Qui in questa stanza sta compiendosi un miracolo: il cammello passa per la cruna dell’ago». Lui di agiata e prestigiosa famiglia borghese si era davvero fatto povero con i poveri e così realizzava la parola evangelica: sì il cammello può passare nella cruna dell’ago, se le mani e il cuore sono davvero liberi dal possesso e aperti nel dono di sè.

Don Giuseppe Grampa

18 Agosto 2019 | 14:50
Tempo di lettura: ca. 3 min.
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