Commento

Commento ai Vangeli

Calendario romano (Gv 20, 19-31): Misericordia, segno di una Chiesa viva

«I doni sono soltanto un ornamento dell’anima, ma non ne costituiscono la sostanza né la perfezione. La mia santità e perfezione consiste in una stretta unione della mia volontà con la volontà di Dio». Maria Faustina Kowalska scrisse queste parole nel suo diario, testimonianza di questa santa polacca nata all’inizio del secolo scorso e scomparsa a 33 anni per una tubercolosi favorita dalle condizioni estreme a cui sottopose il suo corpo, nella rigida osservanza di digiuni e di uno stile di vita severo. Alla sua esistenza la Chiesa collega grazie straordinarie, tra cui guarigioni considerate miracolose. Per questo l’allora vescovo ausiliare di Cracovia, Karol Wojtyla, nel 1965 ne promosse la causa di beatificazione completando poi, come Papa Giovanni Paolo II, l’opera nel 1993 e proclamandola santa nel 2000. In quello stesso anno il Pontefice polacco stabilì anche che questa domenica, la prima dopo la Pasqua, dal 2001 sarebbe stata denominata «della Misericordia», titolazione legata proprio alla santa polacca: in questo giorno la Chiesa può anche concedere indulgenze. E della misericordia, infatti, in questa domenica parla Gesù, attraverso le scritture.

«A partire proprio dal dono agli apostoli », esordisce don Giorgio Paximadi, che assieme a Dante Balbo è ancora di fronte al Santuario di Santa Maria di Loreto a Lugano «concedendo loro il potere di rimettere – o non rimettere – i peccati». Una caratteristica che li renderà Chiesa, una «estensione » delle capacità di guaritore di Gesù. «C’è un passo degli Atti in cui i malati, portati di fronte a Pietro, chiedevano di essere sfiorati anche solo dalla sua ombra. Se la resurrezione ci restituisce la sua piena corporeità, la Chiesa, attraverso gli Apostoli, che ne sono la spina dorsale, è la presenza di questo corpo risorto, che si manifesta con la misericordia per gli ammalati e nel perdono dei peccatori». Dante Balbo si chiede, a questo punto, se si possano «non rimettere» i peccati. «Nella Confessione» spiega don Giorgio «i peccati vengono enunciati per aprire il proprio cuore ad una reale predisposizione al perdono. Di fronte a ciò, tutto può essere rimesso». La liberazione dal peccato è anche nel nome di questa domenica: in albis, per le vesti bianche che i battezzati avrebbero indossato per la veglia pasquale, pronti a rimuoverli una settimana dopo. «È la forma contratta di in albis depositis, il liberarsi di queste vesti bianche, un gesto che introduce i fedeli ancor di più alla vita di battezzati che hanno iniziato nel primo sacramento: nella veste lasciata a terra si liberano del segno esteriore del battesimo ma non di quello interiore, che è la misericordia di Dio».

Cristiano Proia

Calendario ambrosiano (Gv 20, 19-31): Quel dito dell’apostolo Tommaso

Confesso una grande simpatia per Tommaso, il protagonista della pagina evangelica. In un’altra pagina Tommaso con risolutezza dice aglòio altri discepoli esitanti: «Andiamo anche noi a morire con Lui» (Gv 11,16). Un uomo determinato nell’adesione a Gesù ma a patto di avere buone ragioni. Un modo di dire popolare «Sei come san Tommaso » fa di questo apostolo l’incredulo che non crede a quanto gli si dice, perchè vuole toccare con mano. Tommaso non si fida delle parole degli altri, si fida delle sue mani.

Ritrovo in Tommaso le incertezze, le fatiche che segnano la mia fede e forse quella di qualcuno di voi che mi legge. Forse. Certamente attraversati dal dubbio sono tutti i discepoli di Gesù come ci riferiscono gli Evangeli che non nascondono i limiti dei discepoli. E questo conferma l’affidabilità delle testimonianze evangeliche. Succede invece che quando una persona arrriva in una posizione di potere e quindi di grande notorietà cerchi di far sparire del suo passato quanto può dare di lui una immagine negativa. Tenta di rifarsi, come si dice, una verginità. Non così nei Vangeli che più volte raccontano, senza censure, le miserie degli amici di Gesù. Oggi le miserie di Tommaso. Ma con lui Gesù è singolarmente condiscendente, gli offre una seconda opportunità. Tommaso sarà, come gli altri, testimone del Risorto, fino agli estremi confini della terra. Si dice sia arrivato fino in Persia, l’attuale Iran e in India. E come gli altri dieci avevano potuto vedere Gesù, toccarlo, ascoltarlo, ricevere il soffio del suo Spirito, così anche a Tommaso non è negata questa opportunità. Quando racconterà la storia di Gesù e ripeterà con emozione le sue parole, potrà aggiungere: «Questo che vi dico l’ho ascoltato con le mie orecchie. Gesù, io l’ho visto vivo, dopo la sua morte, ho toccato con le mie mani i buchi lasciati dai chiodi».

Chissà quante volte Tommaso avrà raccontato la sua storia: «Io non credevo che Gesù dopo la sua morte fosse vivo, risorto. Ero incredulo e non accettavo quanto mi raccontavano i miei amici che dicevano d’aver visto Gesù, vivo, risorto. Eppure Gesù stesso mi ha preso la mano e l’ha avvicinata alla ferita ancora aperta nel suo fianco, dicendomi: Tommaso non essere incredulo, ma credente. E io sono caduto a terra, in ginocchio davanti a quell’uomo che era il mio Signore e il mio Dio». Non penso d’aver lavorato di fantasia. Tommaso avrà innumerevoli volte raccontato questo suo sconvolgente incontro con il Risorto. A noi non è stato dato incontrarlo. Eppure proprio per noi Gesù ha inventato una beatitudine da aggiungere alle altre che ben conosciamo: «Beati voi e quanti non hanno visto i segni della passione nel mio corpo, dice Gesù, eppure credete che proprio io l’uomo della croce sono il Risorto». Crediamo anche grazie a Tommaso e al suo dito che, esitante, sfiora la ferita ancora aperta.

Don Giuseppe Grampa

27 Aprile 2019 | 12:11
Tempo di lettura: ca. 3 min.
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