Chiesa

Come riconciliare le donne alla Chiesa?

Il Papa durante l’udienza del mercoledì, in Piazza San Pietro, nello scorso mese di ottobre ha avuto parole molto dure sull’aborto, dicendo che abortire equivale ad affittare un sicario per risolvere un problema. A seguito di questa affermazione, in Svizzera, sei note donne attive in politica hanno pubblicamente annunciato di voler lasciare la Chiesa cattolica. Un gesto che ha raccolto molta solidarietà. Ne parliamo dunque con Paola Lazzarini, sociologa della religione e fondatrice di «Donne per la Chiesa»:

Paola Lazzarini, lei come ha letto e accolto questa affermazione di Papa Francesco?

«Certamente l’esempio del sicario è molto crudo e sicuramente fuori luogo. Ha ferito molto e molte donne lo hanno detto pubblicamente e anche privatamente ho avuto modo di ascoltarle. Io però, non volendo assolutamente giustificare il Papa né tantomeno svilire i sentimenti di chi si è sentito ferito anche perché ha attraversato direttamente quella terribile prova, però vorrei dire che il Papa in quel discorso ha detto anche e soprattutto molto altro. Ha iniziato a parlare del V comandamento e del valore della vita. Dicendo anche che la vita è aggredita dalle guerre, dalle organizzazioni che sfruttano l’uomo, dalle speculazioni sul creato e quindi di fatto lo scenario era un altro. E quando ha parlato di aborto, il papa si è riferito soprattutto agli aborti terapeutici volti a sopprimere i feti affetti da malattie. Quindi si trattava di puntare l’attenzione sulle vite di eventuali bimbi malati e molto problematici. E lui ha detto: un bimbo malato è come ogni bisognoso della terra. Come un anziano che necessita di assistenza. Come tanti poveri che stentano a tirare avanti. Però colui/colei che si presenta come un problema, in realtà è un dono di Dio. Ecco il Papa non ha accusato i genitori, né tantomeno le madri. Ma ha additato come responsabile la solitudine e altri fattori contingenti. Cogliendo in pieno quali sono le cause di tanti aborti. Ha detto: i genitori in questi casi drammatici hanno bisogno di vera vicinanza, di vera solidarietà per affrontare le possibili paure. Invece, spesso, ricevono frettolosi consigli di interrompere la gravidanza. Insomma se ascoltato tutto il discorso del papa, non è riassumibile nell’esempio fatto del sicario e di tutte le dichiarazioni strumentali che si sono poi lette, ma in un quadro molto piu ampio il cui intento non era quello di criminalizzare le donne. Rispetto al fatto che spesso quando le donne in stato di gravidanza, ricevono, magari dopo un’ amniocentesi, la diagnosi di un bimbo con una malattia grave, purtroppo è vero che vengono frettolosamente invitate ad abortire. Quindi purtroppo il papa, in maniera sicuramente sbagliata ed indelicata ha messo in luce una questione che esiste e che non è giusto trascurare. A volte con una rete di sostegno, con una vicinanza è possibile anche che le famiglie che si trovano ad affrontare una decisione difficile come quella di mettere al mondo un bimbo malato, potrebbero trovare la forza di farlo. E questo non ha niente a che fare con il giudizio verso chi questa scelta non si sente di farla. Però lavorare sul sostegno è più importante che scandalizzarsi sulle parole, comunque sbagliate, del papa».

Il binomio donne-Chiesa cattolica rimane tuttavia un binomio un po’ complicato. Che cosa, secondo lei, le donne vorrebbero dalla Chiesa? Che cosa potrebbe invertire la tendenza dell’abbandono della pratica religiosa da parte di una larga fascia di popolazione femminile? Pensa che riconoscere alle donne la libertà di avere o non avere un bimbo, potrebbe risanare questo rapporto? Davvero è da qui che passa la riconciliazione tra donne e Chiesa?
«Il rapporto delle donne con la Chiesa è complesso e in esso convergono molti elementi: storici, sociali e spirituali. Diciamo che se ci sono donne, a me capita di incontrarle, che si dicono contente del ruolo che hanno nella Chiesa cattolica, in realtà è crescente il numero di quelle che hanno iniziato a problematizzare la loro condizione di subalternità. Condizione in cui noi tutte donne, di fatto viviamo nella Chiesa. Le giovani generazioni sono ancora più avanti in questa consapevolezza. E come ha detto il cardinale Marx durante il sinodo sui giovani, «se la Chiesa vuole promuovere al dignità della donna, allora dobbiamo affrontare le richieste dei giovani e coinvolgere le donne nei compiti di leadership a tutti i livelli della Chiesa. Dalla parrocchia alla diocesi, dalla conferenza episcopale e anche al Vaticano. Io credo che alle donne interessi soprattutto sentirsi partecipi dei processi di riflessione e decisione della Chiesa. E sono sicura che questo porterebbe anche ad una parziale ridefinizione del Magistero in alcune materie delicate. Non penso solo all’aborto. Penso per esempio alla nota della Congregazione della Dottrina della Fede, di qualche giorno fa, sulla liceità dell’isterectomia solo in caso che l’utero non sia più idoneo alla procreazione. E’ chiaro che alla Congregazione non hanno idea che cosa sia per esempio un’endometriosi grave. C’è uno scollamento con la vita e il corpo delle donne che solo la presenza delle donne in quelle sedi può sanare. Altrimenti si percepisce, e io per prima lo percepisco, un’ingerenza indebita di uomini anziani e celibi su materie che ignorano del tutto. Però sinceramente non penso che l’emorragia di donne dalla Chiesa si arresterà grazie a qualche cambiamento nella morale cattolica. Penso ci voglia una conversione più profonda, che parte dal riconoscimento di un bisogno prima ancora che di un diritto. La Chiesa ha bisogno del contributo di pensiero, spiritualità e discernimento delle donne ancor più di quanto le donne abbiano bisogno di veder riconosciuti i loro diritti e di sentirsi in qualche modo rappresentate nelle sedi decisionali ecclesiali, come per esempio il diritto di votare nei sinodi. Insomma, le donne senza la Chiesa continueranno ad esserci. A continuare ad amare e servire Dio. A creare comunità. A soccorrere i poveri e i malati. Ma la Chiesa senza le donne è condannata, prima all’insignificanza e poi all’estinzione. Un piccolo e importante passo sarebbe anche quello di superare l’idea della donna solo madre. Se si iniziasse a considerarci al di là di quello che avviene nel nostro utero, non sarebbe male!

Cécile Bühler ha detto di aver ricevuto molta solidarietà dopo il suo annuncio di voler lasciare la Chiesa cattolica e solo pochissime reazioni negative e solo da parte di uomini-maschi. La stupisce questo?
«No, non mi stupisce. Direi che viviamo in un tempo nel quale nessuno può biasimare chi si allontana dalla Chiesa. Oltre al problema della condizione della donna, c’è quello dell’accoglienza delle persone LGBT, c’è il pesantissimo fardello degli abusi sui minori e non solo, quindi mi sento di dire che se ci sono tanti motivi per lasciare la Chiesa cattolica, le parole del Papa non penso possano essere tra questi. Una volta lette, approfondite e contestualizzate. Io temo che per qualcuna pesi un po’ il clima che è stato creato da alcuni movimenti tradizionalisti molto presenti in particolare sui social, che parlano di aborto come assassinio, confondono i feti con i bambini nati e utilizzano un linguaggio un po’ splatter. Questo modo di comunicare un po’ scandalistico forse ha portato alcune donne a sovrapporre le idee proposte da questi gruppi al magistero della Chiesa, alle parole di Papa Francesco, che però è sempre quello che ha esteso a tutti i sacerdoti la facoltà di assolvere chi ha abortito, cosa prima riservata ai soli vescovi. Quindi papa Francesco è questo. E non credo che le sue parole, anche se in questo caso fuori luogo, possano determinare l’uscita dalla Chiesa. Posso comprendere le ragioni. Non questa ragione. Mi sento di dire che forse sarebbe forse anche più limpido, addurne delle altre. Anche nel dibattito pubblico sarebbe più utile…

Che cosa personalmente la fa restare nella Chiesa cattolica?
«Questa è una domanda difficile. Da un lato mi verrebbe da dire che l’appartenenza ecclesiale non è un cappotto che si cambia quando non va più bene. Dall’altro, però, sono la prima a sentire la fatica di rinnovare la mia adesione ad una Chiesa che sempre di più scopriamo strutturalmente malata di abuso di potere, che sminuisce anche le donne, allontana i fratelli e le sorelle omosessuali. Non è facile restare. Eppure anche oggi, oggi forse più di prima, io sento che non voglio andare via. Sento che voglio vivere fino in fondo il percorso di pentimento e rinnovamento che aspetta la nostra Chiesa. Diceva Carlo Carretto: «Quanto sei contestabile, Chiesa! Eppure quanto ti amo! Mi hai dato tanti scandali, ma mi hai anche fatto capire che cos’è la santità. Non ho visto al mondo nulla di più oscurantista, più falso, eppure di più puro, generoso e più bello!»
Credo che sia così anche per me e per tanti. Infondo questi infiniti scandali, questi ritardi, queste ingerenze pesanti sul capo delle donne, fanno soffrire terribilmente. Però io sento ancora che la comunità dei credenti intorno a Pietro è la mia famiglia, la mia casa. Non si lascia la propria famiglia quando è nella tempesta. Si resta e si lotta. Per una Chiesa più evangelica. Più fedele al Signore. Andarsene via è una scelta da individui, che giustamente anche – non mi sento assolutamente di biasimarla – si pensano come individui. Per chi si pensa comunità, non è un’opzione. Una comunità cerca di camminare. Di attraversare il deserto, di arrivare dall’altra parte. Accettando anche la fatica di rallentare il passo. Di permettere a chi fa più resistenza al cammino, di continuare comunque a camminare. Però non abbandona la barca quando è nella tempesta. Questo no. Per chi ama la Chiesa credo che è comprensibile.

20 Gennaio 2019 | 06:00
Tempo di lettura: ca. 6 min.
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