In Colombia le «Città di Dio» sulla terra

«Sogniamo noi forse – si chiedeva Paolo VI nell’udienza generale del 31 dicembre del 1975 – quando parliamo di civiltà dell’amore? No, non sogniamo. Gli ideali, se autentici, se umani, non sono sogni, sono doveri». Chi si interroga se, oggi più di ieri, la civiltà dell’amore non sia qualcosa di utopico, può trovare in Colombia la risposta alla sua domanda. Lì in una terra dove la violenza ha, spesso e volentieri, occupato le pagine di cronaca, nel 2003 a Villa de Leyva è nata un’esperienza che negli anni si è moltiplicata.

L’artefice di tutto questo, anche se lui preferisce attribuire i meriti al Signore, è padre Josè Arcesio Escobar. «Quando sono stato maestro dei novizi dei Carmelitani Scalzi – racconta – mi sono accorto che sapevano tante cose ma non avevano la sensibilità per i poveri. Ho sentito il bisogno di andare con loro nei quartieri dei contadini: abbiamo incominciato a lavorare senza pretendere niente avvicinando le famiglie più bisognose. Da una piccola realtà siamo arrivati all’edificazione della «Città di Dio». Che cos’è? Prima di essere un luogo, è un’esperienza di diverse persone che si mettono insieme a pregare, lavorare/servire e amare». Al centro la promozione dell’uomo attraverso il Vangelo. «Per noi il sociale e lo spirituale sono un unicum. Agiamo spinti dall’amore del Signore che si trova in ogni persona che soffre. Cerchiamo strade per trovare vie che rendano la vita più dignitosa. Le costruzioni sono belle perché i poveri possano vivere degnamente».

Oggi «Las Ciudades de Dios» sono 25, la prima è nata nel 2003 a Villa de Leyva che accoglie 130 bambini (fino ai 5 anni) dalle 7.00 alle 15.30. Convivono con il loro carisma più comunità (i Carmelitani Scalzi, le Suore del Carmelo apostolico di Nostra Signora di Betlemme, i laici consacrati carmelitani di San Giuseppe, le Carmelitane di Nazareth e le Carmelitane di San Giuseppe). A Bogotà, invece, sono coinvolte 124 famiglie povere: ognuna con la propria casa ma con spazi comuni (la sala da pranzo, il giardino per i bambini, la cappella…) e soprattutto con un’unica gestione economica. La guida è affidata ai religiosi o ai laici. I diversi destinatari vivono ai margini: i poveri, i drogati, le prostitute, i contadini, i giovani, gli anziani… Come i primi cristiani, vediamo e sentiamo il Risorto. Viviamo una vita con le cose semplici che conducono alla santità. È fondamentale l’ascolto: ogni Città di Dio ha una stanza dell’ascolto».

Tra le attività, anche l’accompagnamento per gli universitari di Bogotà. Punto Missione Onlus, in collaborazione con Fundación Construímos, l’Universidad Nacional de Colombia e Fundación Santa Teresa De Avila, ha avviato il sostegno a distanza attraverso l’attivazione di borse di studio per i ragazzi di «Ciudad de Dios» de La Gloria. Padre Arcesio ha imparato a «credere e a camminare insieme alla gente. Abbiamo tanta fiducia in San Giuseppe. La Provvidenza continua a stupirci. La vita è breve: non possiamo perdere tempo, dobbiamo donare tuttocome Gesù». Amare sempre. Tutto questo va riletto nel contesto del Paese. «La Colombia è speciale. C’è del bene e del male. Nel mondo si parla di più della violenza che delle cose belle. Abbiamo la fortuna di avere molte persone buone, con radici cristiane, soprattutto tra i contadini. Qui il Vangelo è parte della vita, non è qualcosa di isolato». Ci sono tante iniziative per promuovere l’unità. «È un luogo di pace perché si respira l’amore del Signore in mezzo alla violenza. In Europa vedo le chiese vuote, mentre qui, in Colombia, non succede. Nella nostra società fioriscono le vocazioni e sono attivi i movimenti e i gruppi di preghiera».

Sullo sfondo l’accordo di pace con le Farc anche se in campo ecclesiale restano delle perplessità. «Tanta gente vuole la pace, vediamo cosa vogliono i guerriglieri. Non tutti sono d’accordo con il Governo a concedere loro troppo spazio: si tolgono aiuti agli indigenti e si dona a chi fa i soldi con la droga…». Nel cuore di padre Escobar c’è ancora un grande sogno. «È una pazzia: vorrei costruire delle «Città di Dio» in mezzo ai guerriglieri. Nei luoghi dove c’è tanta violenza, ci aspettano. Anche all’estero sono interessati: i Vescovi la vedono come un’opportunità». Molti potrebbero obiettare che non rappresenta, però, un modello esportabile, ma padre Arcesio non è dello stesso avviso, del resto «in tutti i luoghi ci sono amore e tenerezza. Tutti siamo bisognosi d’amore e abbiamo un senso spirituale di trascendenza. In qualsiasi luogo dove si prega e si ama, lì c’è posto per una «Città di Dio»».

(Luciano Zanardini / Vatican Insider)

4 Maggio 2017 | 18:36
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