Commento

Colombia e guerre, 8 milioni di vittime e il prezzo pagato dalla Chiesa

Dal 9 aprile 1948, giorno dell’omicidio del candidato presidenziale e leader liberale cattolico Jorge Elicer Gaitán, a oggi la Colombia ha attraversato sette decenni di violenza interna, scatenata da cause molto diverse e caratterizzata da una altalenante intensità. La prima parte di questi settant’anni di guerra continua – tra il 1948 e il 1958 – la si può interpretare come una sorta di «lunga coda» del travagliato periodo coloniale e post coloniale, scaturita dalle lotte per l’indipendenza dalla corona spagnola. Tranne brevi parentesi di relativa tranquillità la Colombia è, da poco più di due secoli, una nazione latinoamericana fra le più disarticolate e a volte devastate da molteplici piaghe, ultime delle quali sono il narcotraffico, le guerriglie di gruppi marxisti-leninisti e i paramilitari di destra.

 

Le cifre delle vittime sono impressionanti: le fonti più autorevoli dicono che nel primo periodo, chiamato appunto «La Violencia», le vittime, soprattutto civili, furono 300mila. Per quanto riguarda invece il periodo della guerra interna contro le Farc i morti, in più di 50 anni, sono almeno 230mila, di nuovo quasi tutti civili.

 

Questo dato va inserito in uno più ampio, inedito nella storia recente del mondo: in Colombia in questi anni di scontri dello stato con l’ex Farc – gruppo politico oggi pacificato diventato partito politico costituzionale – e con l’Eln (Esercito di Liberazione nazionale), con il quale si negozia la pace in Ecuador, le vittime ammontano complessivamente a 8.376.463. 

 

Secondo il «Registro Único de Víctimas» (Ruv) citato dal presidente Manuel Santos in occasione della «Giornata delle vittime, della memoria e del perdono» la cifra sopra indicata si compone così: 7.134.646 sfollati, 983.033 omicidi (il dato include le 230mila vittime degli scontri interni con le guerriglie), 165.927 sparizioni forzate (di cui non si conosce la fine per la maggior parte dei casi), 10.237 persone torturate e 34.814 sequestrati (tra cui molti bambini sequestrati per riscuotere riscatti e mai tornati ai loro cari). Sempre secondo il Ruv degli 8.376.463 di persone colpite 8.074.272 (96%) corrispondono alla categoria «vittime del conflitto armato» e 302.191 alla categoria «víctimas por sentencias», e cioè persone che una sentenza di tribunale ha incluso nell’elenco dei caduti.

 

È chiaro dunque che in Colombia le vittime non sono solo le 230mila persone colpite dalle dinamiche dei conflitti interni di cui si parla spesso. Per la società colombiana, politicamente, culturalmente e giuridicamente, lo status di vittima è un concetto molto più ampio e rispettoso della verità e soprattutto delle sofferenze decennali di un’intera nazione. È questo il concetto che si deve tenere in mente quando si dice che papa Francesco metterà al centro del suo viaggio in Colombia le «vittime».

 

Certo il Papa penserà ai due vescovi uccisi in questi anni (monsignor Isaías Duarte Cancino, 1939 – 2002 e monsignor Jesús Jaramillo, 1916 – 1989) e agli oltre 100 fra sacerdoti, religiosi, religiose, diacono e catechisti uccisi negli ultimi trent’ anni.

 

Terrà presente ugualmente le decine di dirigenti e attivisti dei diritti umani uccisi, alcuni dei quali assassinati in questi mesi recenti, dopo la firma degli «Accordi di pace», così come anni fa era già accaduto all’indomani della pacificazione di un altro piccolo gruppo armato. Saranno ovviamente ricordate anche le migliaia di contadini massacrati dai gruppi paramilitari della destra al servizio dei latifondisti e degli speculatori. Nel cuore e nel pensiero del Papa ci sarà però la sofferenza collettiva, quella di un intero popolo martoriato, dove le ultime due generazioni sono nate e cresciute nella violenza, divenuta per loro ormai «condizione normale» e che non conoscono nulla della pace perché non l’hanno mai vissuta.

 

Le quattro riflessioni centrali delle tappe di Francesco in Colombia sono la «scaletta della riconciliazione» che lui desidera spingere e far crescere come «una valanga di tenerezza e misericordia»: Bogotá («Artigiani di pace e promotori di vita»), Villavicencio («Riconciliazione con Dio, tra colombiani, con la natura»), Medellin («Vita cristiana come discepolato») e Cartagena («Dignità della persona e diritti umani»).

 

Nei suoi venti pellegrinaggi internazionali poche volte papa Francesco ha vissuto un’esperienza simile a quella che lo attende in Colombia: l’incontro e l’abbraccio con una massa sterminata di persone giovani, anziane e di mezza età, donne, uomini, bambini, ricchi e poveri, che portano nel cuore le cicatrici di una lunga notte di sofferenze, umiliazioni e solitudini. Se non si capisce, e soprattutto se non si afferra, la vera dimensione antropologica, sociale e spirituale di questa realtà – cioè di questa sofferenza di popolo, lacerante e prolungata nel tempo – non si capirà perché papa Francesco abbia voluto far visita a questo Paese sudamericano, dove tra l’altro – e qui siamo di fronte a un mistero ancora non chiarito – la fede cattolica è molto diffusa, profonda e sentita. Viene da chiedersi, anche se è difficile poter ottenere una risposta, come mai le due nazioni latinoamericane più cattoliche, Messico e Colombia, da tanti decenni siano «vene aperte» di dolore, iniquità, ingiustizie e sfruttamento.

 

Anche questa è una sfida sulla strada di Francesco in Colombia.

 

È certo, infine, che papa Francesco avrà un suo pensiero speciale per le oltre 200mila persone scomparse e che non si sa dove e come sono morte, dove sono state seppellite e perché non sono tornate a casa. È forse questa la sofferenza peggiore perché è l’oblio totale e definitivo. Secondo la Croce rossa e l’ong «Equitas» una parte rilevante di queste vittime – 24.483 – attendono oggi nei 375 cimiteri, molti illegali, un nome, una sepoltura e una preghiera.

Luis Badilla – VaticanInsider

6 Settembre 2017 | 12:00
Tempo di lettura: ca. 3 min.
colombia (43), guerra (162), vittima (1)
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