Claudio Mésoniat a proposito di No-Billag

Vi proponiamo l’intervento di Claudio Mésoniat in merito alla votazione del prossimo 4 marzo 2018. Mésoniat è stato giornalista presso la RSI e direttore del Giornale del Popolo dal 2004 al 2015.

Mi sembra ancora un po’ prematuro scendere in campo in vista della votazione del 4 marzo 2018 ma capsico l’ansia che serpeggia tra i miei ex-colleghi della RSI e tra i vertici della CORSI. Almeno una cosa vale comunque la pena dirla. Sull’onda di un dibattito emotivo, alimentato sui media e sui social da favorevoli e contrari a «No Billag», sta decisamente passando nell’opinione pubblica un messaggio all’acqua di rose sull’iniziativa, ridotta a una disputa sul canone troppo elevato e sul gradimento dei programmi. Mi assumo la responsabilità di affermare che la votazione del 4 marzo prossimo potrebbe avere invece un’importanza maggiore di un’elezione politica federale (la quale si vedrebbe del resto trasformate le modalità di campagna). In questo sono d’accordo con il direttore generale della SSR Gilles Marchand: cambiare completamente l’assetto della struttura giuridica su cui si regge la comunicazione radio televisiva in Svizzera, così come l’iniziativa propone portando la scure alla radice costituzionale di tale struttura, significa compiere una vera rivoluzione politica e culturale del congegno federalistico elvetico.

La fine di qualsiasi finanziamento pubblico, il salto verso il puro mercato con tanto di aste pubbliche per le concessioni a trasmettere, e ancor più incisivamente il totale disinteresse dello Stato per l’equilibrio dei contenuti e per quello tra le regioni linguistiche, ha qualcosa di epocale per il nostro Paese. Si tratta di una scommessa al buio, fondata su una ferrea concezione ideologica: lasciamo questo settore, così delicato e decisivo nella formazione dell’opinione pubblica, al semplice gioco della domanda e dell’offerta. Senza un brivido di dubbio circa il fatto che la miracolosa «mano invisibile» del libero mercato saprà coltivare il pluralismo culturale e politico, nonché il puzzle della convivenza tra etnie, culture e lingue che costituisce la peculiarità vera della Svizzera.

È mia convinzione invece che in questo campo la mano dello Stato, non esclusiva ma di sorveglianza, di coordinamento e anche di erogazione di servizi, abbia una fondata ragion d’essere e non possa auto cancellarsi da un giorno all’altro. La sussidiarietà, se ben intesa, lo impone in questo come in non molti altri settori dell’economia, dei trasporti, della cultura e, appunto, della comunicazione. Per limitarmi, in questo primo contributo, all’esempio più lampante, basti riflettere sull’ipotetico futuro della televisione nella Svizzera italiana nel caso si instaurasse un regime di aste pubbliche.

I costi della tv sono molto alti, soprattutto se pensiamo al nodo più delicato, i programmi informativi, specie locali; troppo alti per qualsiasi gruppo o editore privato che dovesse servire in lingua italiana un bacino di utenza piccolo come il nostro. La tv privata esistente, Teleticino, vive per 2/3 dei sussidi provenienti dal canone. La SSR, che oggi finanzia i 4/5 dei costi RSI attraverso il canone raccolto nella Svizzera tedesca (torneremo su questo «miracolo» svizzero), sarebbe fuori gioco, qualora rinascesse dalle proprie ceneri, giacché dovrebbe vivere di pura pubblicità (oggi il 20% delle sue entrate). Sarebbe il vuoto: e allora… dovremo farci bastare le tv private svizzero tedesche, o i programmi delle tv italiane. Lo scenario non è esagerato. È realistico. Sulle ragioni del disagio e dell’ostilità maturata nel Paese verso la SSR, bisognerà ritornare.

Claudio Mésoniat

11 Gennaio 2018 | 12:20
Tempo di lettura: ca. 2 min.
4 marzo (1), dibattito (8), mesoniat (4), no billag (6), votazione (8)
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