Ciò che fa male alla Chiesa cinese

Le divisioni interne e i conflitti ecclesiali sono il problema più grande vissuto in questa stagione dalla cattolicità cinese. E rischiano di alimentare fragilità psicologiche e insicurezze spirituali tra tanti sacerdoti, religiosi e religiose, sottoposti al giudizio continuo «di chi li accusa di essere di essere dei mezzi traditori, di non essere fedeli a quello che insegna la Chiesa». Una condizione che, alla lunga, «logora e rende insicuri». È l’allarme lanciato attraverso Vatican Insider da Teresa Meng Weina, 63 anni, laica cattolica cinese, conosciuta anche fuori dalla Cina Popolare per aver fondato Huiling, una delle più grandi Organizzazioni non governative impegnate in Cina nell’assistenza ad adulti con disabilità mentale.

 

Ex «guardia rossa», atea per formazione familiare, Teresa Meng anima una delle opere di carità più importanti iniziate negli ultimi decenni dai cattolici della Cina Popolare per rispondere anche agli effetti della «cultura dello scarto» che si diffonde anche nella società cinese, penalizzando i disabili e tutte le categorie di persone – anziani, malati cronici, giovani con problemi mentali – che hanno bisogno di assistenza. Huiling, opera finanziata anche dal governo, è nata per offrire aiuto e formazione a giovani disabili mentali. Oggi la «rete» di Huiling è diffusa in trenta città di venti province cinesi, con 65 case-famiglia e molti altri centri e attività. Vi operano circa 450 persone che ospitano e assistono migliaia di giovani disabili.

 

Teresa, è vero che lei era una militante del Partito comunista?

«Mio padre era un esponente importante del Partito. Ma ringrazio Dio di non esser nata nel pieno della Rivoluzione culturale. In quegli anni ero già un’adolescente. Altrimenti sarei potuta finire male».

 

Come è diventata cristiana?

«Quando avevo 22 anni ho iniziato a lavorare in fabbrica. A 30 anni ho letto un articolo di giornale che parlava di Madre Teresa di Calcutta, e del Nobel per la Pace che le era stato assegnato nel 1979. Non sapevo chi fosse, ma fui colpita dal fatto che aveva ricevuto un premio così importante per aver avuto cura dei poveri e di chi soffre. Ho voluto conoscere la sua storia, e ho sentito che dovevo seguire la sua strada, dovevo fare quello che faceva lei. Madre Teresa è morta nel 1997. E io sono stata battezzata nel 1998, nella cattedrale di Canton. E ho ripreso il suo nome come nome di battesimo».

 

La sua opera a favore dei disabili è conosciuta anche fuori dalla Cina. Ma è anche un punto d’osservazione per percepire le speranze e i problemi dei cattolici cinesi…

«A partire dalla fine degli anni Novanta tanti preti e tante suore hanno iniziato a venire a trovarmi. Io percepivo che il loro desiderio di fare opere di carità rimaneva inappagato, perché non trovavano le strade. Quelli della polizia, all’inizio, non capivano, erano diffidenti. Minacciavano di far chiudere tutto. Ma poi le cose sono andate avanti, e tutti hanno visto che si trattava di un’opera buona».

 

Cosa la colpisce, in queste generazioni di giovani preti e suore cattolici cinesi?

«Di certo la loro generosità, ma anche la loro insicurezza. Tanti di loro mi sembra che vivano sempre con un senso di continua esitazione, quasi si sentissero come spie che si devono nascondere durante una guerra. Io gli chiedo: perché siete così incerti, così esitanti? State facendo cose buone! Alcune di loro dicono che non mi devo fidare del governo».

 

Secondo lei quali sono le cause di queste insicurezze psicologiche e spirituali?

«Tanti appaiono condizionati dalle situazioni di conflitto ecclesiale, da questa condizione in cui si può sempre essere accusati da qualcuno di non essere fedeli, di tradire la Chiesa. Per questo tanti hanno sempre il bisogno di essere rassicurati, di sentirsi dire da qualcuno che stanno camminando sulla strada giusta. C’è in molti questa paura di essere sempre esposti al rimprovero di qualcuno che rinfaccia loro il fatto di essere dei mezzi traditori, di non essere veri cristiani, come se ci fosse il bisogno di affermare e ribadire a ogni passo la propria fedeltà al Papa e alla Chiesa. Questo, nel tempo, logora e rende insicuri».

 

E quali sono gli atteggiamenti spirituali che lei ha registrato tra i cattolici cosiddetti «clandestini»?

«Ho avuto contatti con un prete «clandestino» e la sua comunità. Sono persone che tengono duro. Ma a volte sembrano quasi inebriarsi di questa loro condizione. Identificano in quella scelta della clandestinità la consistenza e il criterio per misurare la loro fede. Come se la fede si identificasse nel fatto di non accettare le regole del governo. In questo modo, tanti finiscono per guardare solo a se stessi, e non guardano la realtà».

 

Lei ha conosciuto personaggi grandi della Chiesa in Cina come Antonio Li Duan, il grande vescovo di Xi’An scomparso nel 2006. Può parlarci di lui?

«Andai da Antonio Li Duan per chiedergli aiuto, perché volevo aprire un centro per gli handicappati anche a Xi’An. Lui ripeteva sempre che «bisogna dare a Cesare quel che è di Cesare, e a Dio quel che è di Dio». Anche adesso, se si segue questo criterio, questa distinzione, le cose possono chiarirsi. Altrimenti, tutto rimane confuso e non si trovano le soluzioni per i problemi della Chiesa in Cina».

 

Considerando questa situazione, come vede la possibilità di una intesa tra governo cinese e Santa Sede per cominciare a risolvere i problemi, a partire dall’evitare nuove, laceranti ordinazioni episcopali illegittime?

«Credo che un accordo, col tempo, può aiutare a superare il pericolo che tanti sacerdoti, religiosi e religiose diventino vittime delle diverse malattie psicologiche create dalle divisioni e dalle operazioni di chi alimenta accuse e litigi. Anche per questo un accordo tra la Cina e la Santa Sede mi sembra conveniente. Altrimenti tutto viene condizionato da chi passa il tempo a accusare i fratelli, e fare a gara a chi è più fedele degli altri. Tutto questo rischia di far perdere il grande tesoro di fede che ci hanno donato tanti martiri».

 

Può dare un esempio di come le divisioni interne feriscono la vita della Chiesa?

«Conosco un vescovo che ha a cuore l’unità della Chiesa e ripete sempre che la Chiesa cattolica è una, santa e apostolica. A un certo punto, alcune persone sono andate da lui dicendo che volevano costruire una chiesa «fedele», accanto alla cattedrale. Hanno anche detto che avevano i soldi per finanziare il progetto. Ma lui ha risposto di no, e ha aggiunto che la loro iniziativa andava fermata perché era contro l’unità».

 

Secondo lei quali criteri dovrebbe seguire la Santa Sede? Quali sono le priorità?

«Sono contenta che la Santa Sede stia lavorando per arrivare a un’intesa con il governo cinese. E secondo me, la priorità di ogni iniziativa della Santa Sede dovrebbe essere quella di provare a risolvere il problema della divisione tra cosiddetti «ufficiali» e cosiddetti «clandestini», e favorire la riconciliazione. Altrimenti il caos continua, con tanti che si muovono fuori da ogni controllo e non devono rendere conto a nessuno di quello che fanno. Non è sano che tutto avvenga nel segreto. E, a mio giudizio, queste cose sono più preoccupanti rispetto al fatto che il governo vuole avere tutto sotto controllo. Questa attitudine al controllo il governo la applica verso le realtà sociali di ogni tipo, comprese le comunità religiose».

 

Ma trattare con il potere cinese non è da ottimisti ingenui? Non significa sottomettersi alla propaganda cinese e nascondere i problemi?

«Il sistema cinese ha i suoi limiti e i suoi difetti. È un sistema formalmente ateista. Dietro alle parole enfatiche. È un apparato di potere umano dove si incontrano tanti interessi personali, rigidezze, prepotenze. Questa è una realtà che va riconosciuta senza essere ingenui, In questo immenso apparato ci sono anche tentativi che possono migliorare le cose, come quello della lotta alla corruzione e quello dei progetti per sconfiggere la povertà. Credo che su questi due terreni possono trovarsi anche punti di contatto e collaborazione tra il governo cinese e la Santa Sede».

 

Come conviene districarsi rispetto alle tante voci e informazione che vengono fatte circolare sulla condizione dei cattolici in Cina?

«In certe regioni c’è una situazione di stallo a causa della divisione. Ci sono tanti vescovi che vengono attaccati come se fossero traditori o vigliacchi, mentre in realtà sono bravi pastori e in coscienza hanno giudicato più conveniente per la Chiesa avere relazioni buone con le autorità politiche. Ci sono altri che non riescono a stare dietro ai cambiamenti di una società sempre più complessa, si isolano, e quando invecchiano non hanno nemmeno le risorse per andare avanti. Altri vanno a studiare all’estero, ma poi qualcuno di loro non vuole tornare, o quando torna rimane isolato e estraneo, non si immerge nella realtà della Chiesa locale. Insomma, occorre conoscere le situazioni reali e locali, senza fermarsi alle dicerie, o alle accuse conosciute per «sentito dire». Conviene anche provare a sciogliere i problemi caso per caso, non molta pazienza. Senza presentare le vicende singole e locali come se fossero l’emblema della condizione vissuta dai cristiani in tutta la Cina».

Gianni Valente – VaticanInsider

30 Aprile 2018 | 19:00
Tempo di lettura: ca. 5 min.
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