Che senso ha?

Della Prof.ssa Eva-Maria Faber, Coira
(Membro della Commissione teologica ed ecumenica della CES)

Commissione teologica ed ecumenica della Conferenza Episcopale sul Coronavirus

La questione se ci sia un significato in ogni evento rimane una delle grandi domande dell’umanità. Ricordo molte discussioni generate dall’allora nuova formulazione: «Ha senso fare questo o quello». Alcuni avevano una predilezione per questa formula, che spesso utilizzavano, mentre altri, invece, vi si opponevano. Il loro rimprovero: il significato non è affare dell’uomo, ma precede ogni sforzo personale.

La pandemia di coronavirus ha senso o impressiona?

In passato, la gente l’avrebbe davvero vista come un messaggio voluto da Dio: un monito a pentirsi o un’espressione dell’ira di Dio. Questo è ciò che ha dato origine a questi giorni di penitenza, di cui fa parte, ad esempio, il digiuno federale. Di fronte alle catastrofi di questo mondo, che in genere colpiscono chi non è già privato dalla vita, questa è un’interpretazione cinica, che è ancora (ma purtroppo ancora) difesa solo da una minoranza.
Nelle ultime settimane, possiamo vedere un’altra strategia per trovare un significato. L’idea del doppio significato della parola cinese «crisi», che significherebbe (ma senza che io possa verificarlo) sia il pericolo che il caso, sta tornando in vigore. Un rallentamento involontario è un’opportunità? La riduzione del traffico aereo, dell’industria, ecc. offre l’opportunità di avere di nuovo aria pulita in Asia e altrove, di permettere ai delfini di nuotare nel porto di Venezia, di raggiungere finalmente gli obiettivi climatici in ogni caso? Per quanto attraente, un tale pensiero non manca di cinismo. Le sofferenze della gente, le morti atroci, il coinvolgimento massiccio di persone nel settore sanitario, che sono così esposte al pericolo, l’angoscia economica esistenziale, la minaccia indicibile per le persone, per esempio, nei campi profughi dall’altra parte dei nostri confini, non possono essere compensate da presunte conseguenze positive.
È meglio non inglobare la crisi del coronavirus in un’interpretazione teorica. Questo avvertimento vale soprattutto per la chiesa e la teologia. Anche se il loro compito è quello di dare una testimonianza di consolazione e di speranza: questo non deve essere fatto con una risposta dubbia sul suo significato. Ci troviamo di fronte a una delle tante situazioni (mondiali) che non hanno assolutamente senso in sé.

Un’altra cosa è incoraggiare le persone ad assumersi la responsabilità, proprio in questa situazione, incoraggiarle ad assumersi la responsabilità di organizzare la propria vita e la convivenza con gli altri in modo umano, relazionale, adeguato in questa situazione disastrosa e preoccupante, e quindi darle un senso. Significa anche sopportare l’ambivalenza e l’alternanza di sentimenti di fronte alla minaccia che si avvicina, le sfide della vita quotidiana rimanente e le piccole gioie. Il proprio benessere porta vergogna all’orrore che le persone nelle nostre immediate vicinanze provano. Ma la responsabilità di dare un senso alla propria vita significa anche portare la simultaneità della sofferenza e dell’empatia per chi è colpito dalla sfortuna da un lato e la gioia grata per il risveglio della primavera dall’altro. La responsabilità della società di dare un senso alla vita significa anche vivere questa crisi fatale come una prova di solidarietà e possibilmente attingere al potenziale di cambiamento. Il Nuovo Testamento ci parla di molte situazioni che non sono significative in quanto tali (angoscia, persecuzione, fame, miseria, pericolo, spada [Rm 8,35]) ma in cui, paradossalmente, le persone, nell’audacia della loro fede, mantengono la loro dignità «senza essere angosciate» (2 Cor 4,8). Questa motivazione dovrebbe permettere ai cristiani di cercare, insieme a tutte le persone di buona volontà, di assumersi la responsabilità di trovare un senso alle minacce e agli impulsi per il cambiamento della società.

3 Aprile 2020 | 17:09
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ces (5), coronavirus (391), covid-19 (130), svizzera (539)
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