Internazionale

Centrafrica nell’abisso, la denuncia dei vescovi

La denuncia, la condanna e alcune piste di lavoro. I vescovi centrafricani hanno scelto di scrivere un messaggio forte agli uomini e alle donne di buona volontà. Nel testo, diffuso domenica 14 gennaio, la Conferenza episcopale promuove il piano 2017-2021 di recupero e consolidamento della Pace preparato dal governo con l’appoggio dell’Unione Europea, delle Nazioni Unite e della Banca Mondiale. Chiede, però, una «buona gestione del progetto per affrontare le sfide della povertà e del sottosviluppo».

 

Tra le azioni da mettere in campo ci sono i rimborsi degli stipendi arretrati dei dipendenti pubblici e della polizia. Destano grande preoccupazione gli eventi dolorosi che si sono verificati in alcune prefetture (Haut-Mbomou, Mbomou, Haute-Kotto, Basse-Kotto, Ouaka, Nana-Gribizi, Ouham, Ouham-Pendé et Nana-Mambéré): sono i segnali di un Paese che continua a «sprofondare nell’abisso».

 

«Nelle nostre diocesi siamo testimoni quotidiani di questa triste realtà», scrivono i presuli. Continuano a operare milizie armate «che non vogliono che la guerra si fermi». Lo scenario è inquietante: «Le bande armate sono ancora impegnate in raid e massacri, stupri e racket di civili. I villaggi sono presi di mira dai vandali e bruciati. I residenti sono torturati e uccisi senza alcuna vergogna». Molti fuggono. Le risorse naturali sono «saccheggiate» in un momento in cui il popolo centrafricano soffre «una povertà e una miseria indescrivibili».

 

Sul versante della sicurezza si sente il bisogno urgente di ristabilire lo stato di diritto; sul piano politico i partiti dovrebbero garantire ai cittadini la possibilità di esprimersi democraticamente, ma sono più interessati a ricercare il «proprio interesse» rispetto a quello delle persone. «Prendiamo atto – affermano – che il processo di disarmo, smobilitazione, reinserimento e rimpatrio sostenuto dalla comunità internazionale è lento a materializzarsi».

 

Accanto a questo ai vescovi sta a cuore un altro tema: «Il deficit educativo nel lungo periodo rappresenta una seconda crisi e una schiavitù più devastante. Il futuro dei bambini del nostro Paese è incerto e molto oscuro. I giovani sono esposti a tutti i tipi di violenza, compresi gli abusi sessuali e il reclutamento forzato nei gruppi armati». Per fortuna funzionano ancora le scuole private o cattoliche. I nove vescovi, nello specifico, condannano: il non rispetto della Costituzione da parte dei nemici della pace; gli abusi terribili contro la popolazione nelle aree sotto il controllo delle milizie; l’aggressione codarda e criminale di padre Blaise Bissialo a Bangassou e tutti i tentativi di intimidire gli agenti pastorali. Denunciano altresì il «silenzio colpevole e complice di alcuni funzionari» davanti ai cittadini ridotti in schiavitù dai gruppi armati e «l’ipocrisia» della classe politica.

 

A detta dell’episcopato centrafricano, manca un dialogo sincero tra chi è al potere e chi è all’opposizione, manca una vera collaborazione tra le diverse realtà istituzionali. Il prezzo più salato lo paga la popolazione che vive in un contesto corrotto dove la scuola e la sanità non funzionano. Come se non bastasse si registra anche la profanazione degli edifici religiosi.

 

Dopo aver sottolineato tutte le criticità, il cardinale Dieudonnè Nzapalainga insieme ai suoi confratelli individua anche alcuni percorsi da seguire. La premessa è che ogni componente della società è chiamato «alla ragione e alla responsabilità» per fare in modo che il 2018 sia l’Anno della Pace. Se da una parte si incoraggia il governo «a rafforzare la sua politica e la strategia di sicurezza», dall’altra, «in nome di Dio», si invitano i gruppi ribelli a deporre le armi per mettere fine a tutti i crimini e a tutte le sofferenze. Da soli non è possibile uscire dalla spirale di odio.

 

La Conferenza episcopale incoraggia, infatti, «la comunità internazionale a continuare ad accompagnare e sostenere il processo di pace». Le organizzazioni non governative devono, inoltre, passare dalla fase di emergenza a quella di sviluppo. Senza dimenticare, però, le responsabilità individuali: «La sicurezza è soprattutto un impegno e un atteggiamento personale, comunitario e nazionale». Il rifiuto dell’odio, il rispetto, l’unità, la dignità e il lavoro sono i prerequisiti di un popolo che vuole la pace.

Luca Zenardini – VaticanInsider

19 Gennaio 2018 | 07:20
Tempo di lettura: ca. 2 min.
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