Centrafrica, il cardinale incontra le milizie armate

All’inizio dell’anno, in occasione del primo incontro della Conferenza episcopale del Centrafrica, il cardinale Diudonne Nzapalainga, arcivescovo della capitale Bangui, ha descritto il 2017 come «un anno disastroso» e denunciato una situazione allarmante per la popolazione ormai allo stremo oltre alle «uccisioni e le aggressioni di molti servitori di Dio e membri del clero specie nelle provincie di Banguassou, Alindao, Mokoyo dove chiese sono state date alle fiamme, devastate e saccheggiate in numero impressionante».

 

Raggiunto al telefono da Vatican Insider mentre, affiancato dall’imam Omar Layama, affronta l’ennesimo viaggio di riconciliazione e dialogo in mezzo alle milizie in conflitto, lancia un nuovo allarme perché il 2018 sia finalmente un anno di pace e ritorno alle proprie case per le centinaia di migliaia di sfollati.

 

«In un momento difficile come questo, noi pastori e responsabili religiosi dobbiamo essere ancora di più accanto al nostro popolo. È per questo che sono appena tornato da Alindao dove, assieme all’imam Omar Layama, presidente della Comunità islamica centrafricana, abbiamo incontrato i capi dei ribelli delle varie fazioni per parlare di pace e riconciliazione. Ci siamo fermati a conversare con tutti, chiedendo insistentemente di ritornare al dialogo: non esiste nessuna soluzione se a parlare sono le armi. Ho incontrato i vari gruppi a prescindere dalla loro appartenenza religiosa o etnica (due delle principali fazioni in lotta fanno capo ai ribelli Seleka – in gran parte musulmani – e alle milizie «anti-Balaka» – in maggioranza cristiani – anche se costole provenienti da questi due gruppi si sono staccate e unite secondo criteri di spartizione di potere totalmente estranei alla religione, ndr) per ribadire che sono tutti miei figli e voglio che prendano nelle mani questa pace».

 

«A Bangui – spiega il cardinale – è abbastanza calma ma sappiamo che in tutto il resto del Paese è molto precaria, tantissime aree sono poco sicure e la situazione in alcune città desta enorme preoccupazione. I ribelli sono dappertutto. Di recente sono stato a visitare alcune città, tra queste Bambari e Kaga Bandoro, e ho trovato intere fette di popolazione sotto assedio. In alcuni casi sono i non musulmani a essere accerchiati dentro la città, in altre è l’inverso. La città più colpita è Bangassou, sappiamo di interi quartieri in stato di guerra. Le suore da lì ci hanno informato che i ribelli entrano nelle loro case, nei conventi, nelle chiese e razziano tutto oltre a colpire chi ci vive o chi vi ha trovato riparo».

 

Il 2017 è passato agli atti come l’annus horribilis per la Repubblica Centrafricana. Alla fine di ottobre il segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, allarmato dal rapporto del suo consigliere speciale Adama Dieng che segnalava una «situazione da pre-genocidio», è volato a Bangui per controllare di persona le condizioni in cui versava la cittadinanza e immaginare nuove strategie di pace. Una fetta enorme della popolazione centrafricana, che oscilla tra i 4 e i 4,5 milioni di abitanti, a causa dell’instabilità e gli scontri tra milizie governative, ribelli, e gruppi armati nel frattempo moltiplicatisi, è stata costretta alla fuga verso paesi limitrofi (l’80%) o aree interne più tranquille. Negli ultimi nove mesi, oltre 180mila persone hanno lasciato le proprie case andando a ingrossare le fila dei profughi e superando le 600mila unità: il numero più alto mai registrato nella storia del Paese.

 

«Come pastore – afferma Nzapalainga – mi aspetto un anno migliore per tutti e sono certo che ci stiamo preparando a un cambiamento. Voglio immaginare il mio Paese come una donna partoriente che sta per generare un nuovo figlio. Dio si aspetta da noi questo e noi dobbiamo fare tutto il possibile per aiutare la nascita di questo uomo nuovo. La Chiesa – aggiunge – si è fatta da anni mediatrice nel conflitto scegliendo la strada. Io così come altri pastori, siamo sempre in viaggio, incontriamo tutti, i ribelli, i militari, mangiamo insieme a loro, parliamo, stiamo in mezzo al conflitto per testimoniare la pace. Sono felice di dire che svolgiamo questo ruolo in piena sintonia con i fratelli musulmani e protestanti: la collaborazione diretta tra le varie fedi per la ricerca della pace è una via molto efficace. È una scelta che facciamo per semplice amore della nostra fede e del nostro popolo».

 

Valutando l’udienza di qualche settimana fa del Papa al presidente della Repubblica Centrafricana, Faustin Archange Touadéra, in Vaticano, l’arcivescovo di Bangui sottolinea che l’incontro «è stato un momento molto importante che porterà benefici al mio Paese. Il Papa ha detto una frase che mi ha molto colpito: «Il Centrafrica mi ha rubato il cuore». Vuol dire che siamo nei suoi pensieri e che il Paese rappresenta per lui un priorità. Tutti ricordano la sua visita nel 2015 e posso dirle che l’unica persona che ha creato unanimità totale resta lui, papa Francesco. Il presidente ha usato parole importanti di dialogo e riconciliazione durante il colloquio che rappresentano un impegno fondamentale, proprio perché pronunciate davanti al Papa».

Luca Attanasio – VaticanInsider

20 Febbraio 2018 | 08:00
Tempo di lettura: ca. 3 min.
Condividere questo articolo!