Castel Gandolfo, lo scenario del dramma finale di tre pontificati

La residenza estiva dei Papi, a Castel Gandolfo, da tre anni non ospita più per alcuni mesi all’anno l’inquilino vestito di bianco: com’è noto Francesco ha deciso di non utilizzarla e preferisce rimanere a Santa Marta anche nel periodo estivo. Così, pur rimanendo com’è, pronto per essere riutilizzato, anche l’appartamento papale sarà visitabile dal pubblico. La cerimonia inaugurale è prevista per domani, le visite potranno iniziare da sabato 22 ottobre (per informazioni www.museivaticani.va).

Il commovente saluto di Benedetto XVI

In questo palazzo, trasformato in centro di accoglienza durante la Seconda Guerra mondiale, si sono consumate le ultime ore di tre importanti pontificati del Novecento. Il ricordo più vicino a noi è quello di Benedetto XVI, che nell’ultimo giorno del suo servizio come Vescovo di Roma, due settimane dopo aver annunciato la sua rinuncia, vi si è trasferito arrivando in elicottero da Roma. Quella sera del 28 febbraio 2013, il breve saluto dal balcone esterno che si affaccia sulla piazza di Castelgandolfo fu l’ultima apparizione di Ratzinger da Papa, con il vento che muoveva il pesante drappo con lo stemma pontificio. «Grazie per la vostra amicizia, il vostro affetto – disse Benedetto XVI ai tanti fedeli radunati sotto le sue finestre – Voi sapete che questo mio giorno è diverso da quelli precedenti; non sono più Sommo Pontefice della Chiesa cattolica: fino alle otto di sera lo sarò ancora, poi non più. Sono semplicemente un pellegrino che inizia l’ultima tappa del suo pellegrinaggio in questa terra. Ma vorrei ancora, con il mio cuore, con il mio amore, con la mia preghiera, con la mia riflessione, con tutte le mie forze interiori, lavorare per il bene comune e il bene della Chiesa e dell’umanità». Alle otto di sera di quel giorno, il portone di palazzo venne chiuso e le guardie svizzere lasciarono le loro postazioni: all’interno dell’appartamento non c’era più il Papa, ma Joseph Ratzinger.

Paolo VI, una fine in punta di piedi

A metà luglio del 1978, stanco e sofferente per l’artrosi, dopo mesi difficili e di sofferenza per il rapimento e l’uccisione di Aldo Moro e l’approvazione della legge sull’aborto italiana, Paolo VI si trasferisce nella residenza estiva di Castelgandolfo. Appare spossato e incapace di riprendersi. Il 31 luglio esce per l’ultima volta nei giardini delle ville pontificie per una breve passeggiata. Nel pomeriggio di martedì 1° agosto vuole recarsi a pregare nella chiesa delle Frattocchie, dov’è sepolto il suo antico superiore, il cardinale Pizzardo, che aveva propiziato il suo allontanamento dalla Segreteria di Stato e la nomina ad arcivescovo di Milano, vissuta da Montini come un esilio. Paolo VI torna da quella visita febbricitante. Mercoledì 2 agosto, nonostante la febbre, Montini tiene ugualmente l’udienza generale, l’ultima. Il giorno dopo riceve il nuovo presidente della Repubblica italiana Sandro Pertini. Quindi la prima crisi. Il Papa è grave, c’è un’infezione alle vie urinarie in corso, ma i medici non disperano ancora. Sabato sera, 5 agosto, Paolo VI riesce ancora a rimanere seduto per qualche tempo e a vedere qualche scena di un film di cow-boy alla tv. Racconta l’allora segretario John Magee, «A monsignor Macchi (il segretario particolare fin dai tempi dell’episcopato milanese, ndr) piacevano moltissimo questi film. Paolo VI non seguiva la trama, ma gli piacevano molto i cavalli… Così, quando c’erano i film di cow-boy, monsignor Macchi seguiva il film e Paolo VI seguiva soltanto le scene nelle quali si vedevano i cavalli».

Il trillo della sveglia

La mattina dopo, domenica 6 agosto, Paolo VI non si alza dal letto e non si affaccerà per l’Angelus, il cui testo viene comunque diffuso. Ha 44 di febbre. A mezzogiorno, Montini, a fatica, si alza. «Lo abbiamo portato in cappella sorreggendolo, perché non riusciva neanche a star seduto. Ha recitato con noi l’Angelus, premettendo: «In questo grande giorno della Trasfigurazione io dico l’Angelus per tutti i fedeli della Chiesa»». Le ore successive passano in preda a grande agitazione, provocata dalla febbre alta.

Alle 17.30 don Macchi si prepara per celebrare la messa nella cappella attigua alla camera da letto del Pontefice. Paolo VI pronuncia tutta la formula della preghiera eucaristica, subito dopo arriva un infarto. Gli viene fatta un’iniezione, la messa prosegue e al termine viene amministrata l’unzione degli infermi. Alle 21.41 il Papa muore e in quell’istante di silenzio, comincia a suonare la vecchia sveglia che Montini aveva sul comodino, regalo della mamma che lo accompagnava fin dai tempi trascorsi alla nunziatura in Polonia. Monsignor Macchi, senza saperlo, pensando soltanto di caricarla, quella mattina aveva puntato la suoneria all’ora esatta nella quale Paolo VI sarebbe morto. Papa Montini, ricorderà Macchi, «desiderava morire bene; più volte mi aveva ripetuto: «Mi aiuti a morire bene». Voleva morire senza recare disagi alla Chiesa, senza un periodo di infermità che potesse creare problemi: morire in silenzio, senza disturbare, nel pieno delle forze intellettuali e spirituali per offrire consapevolmente la sua morte come «dono d’amore alla Chiesa». Il Signore ha esaudito la sua preghiera».

L’agonia di Pio XII

Papa Pacelli, due anni prima di morire, aveva confidato alla sua fedele collaboratrice suor Pascalina Lehnert di aver chiesto a Dio un’«ultima giornata» di lucidità per prepararsi alla morte. Il 5 ottobre 1958, a Castel Gandolfo, dopo aver celebrato la sua ultima messa, riceve più di duemila notai parlando loro per circa venti minuti. Al termine appare sfinito, ma a mezzogiorno vuole comunque associarsi alla preghiera alla Vergine di Pompei. Al tramonto si affaccia alla finestra per benedire alcune centinaia di fedeli che si erano raccolti nel cortile del palazzo papale. È stanco e tormentato dal singhiozzo. Quella sera viene colpito da una prima grave crisi. Il 6 ottobre, la mattina, il Papa viene colpito da un attacco ischemico. È in coma quando riceve l’estrema unzione. Nel tardo pomeriggio riprende conoscenza. La notizia dell’agonia del Pontefice si sparge e a Castel Gandolfo arriva una grande folla. Ma la mattina del 7 ottobre Pacelli sembra riprendersi e dice a suor Pascalina: «Questa è la mia giornata». La giornata di lucidità perfetta che il Papa aveva chiesto trascorre in preghiera e si conclude con l’ascolto di un brano della Prima Sinfonia di Beethoven. Tutti, a palazzo, vedendo l’evidente miglioramento, sono speranzosi. Tranne suor Pascalina.

La notizia anticipata della morte

Il secondo attacco, dal quale Pio XII non si sarebbe più ripreso, arriva circa alle sette di mattina del giorno successivo, l’8 ottobre. Il Papa è in agonia, ma ancora vivo, quando alle 11.11, inaspettatamente, un’agenzia di stampa romana batte la notizia della sua morte e prima di mezzogiorno quattro giornali escono listati a lutto nelle edicole della capitale. Edizioni straordinarie già pronte dal giorno precedente, alle quali vengono aggiunte soltanto poche righe in prima pagina sotto i titoli a caratteri cubitali che annunciano: «Pio XII è morto». Ma è una notizia falsa. Un giornalista frettoloso aveva male interpretato il movimento di una tenda di una delle finestre dell’appartamento. Un pool di cronisti era infatti d’accordo con l’archiatra pontificio Galeazzi-Lisi che al momento del trapasso sarebbe stato agitato un fazzoletto da dietro la finestra. La mossa di una suora provoca lo spiacevole equivoco. Lo stesso Galeazzi-Lisi sarà protagonista della diffusione di fotografie scattate a Pacelli morente che respira dalla bombola ad ossigeno e poi immediatamente dopo la morte, sul letto, prima che la salma venisse rivestita e composta. La sera di quel giorno i medici informano che la fine è ormai imminente. Il Papa si spegne alle 3,52 di notte, le prime ore del giorno 9 ottobre 1958.

(Andrea Tornielli / Vatican Insider)

 

20 Ottobre 2016 | 16:15
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