Economia

Caritas Svizzera si china sulle conseguenze sociali della digitalizzazione

La rivoluzione digitale 4.0 è un’opportunità o una minaccia? Il Forum 2019 di Caritas Svizzera dello scorso 25 gennaio si è chinato sulle conseguenze sociali della digitalizzazione, in particolare nel mondo del lavoro.

Affermare che il digitale ha preso un posto preponderante nelle nostre vite è banale, ma dietro alla tecnologia ci sono degli attori, ha ricordato Hugo Fasel, direttore di Caritas Svizzera. La dimensione etica e morale è dunque essenziale. Di fronte alle paure, così come alla fiducia eccessiva nel progresso, è importante stabilire qualche criterio di discernimento. La dignità della persona, la pace, la sicurezza, la giustizia sociale, sono i valori classici. Ma restano validi anche per costruire una nuova società digitale. Definire delle misure concrete per inquadrarla è un compito della politica. E per portare avanti una politica coerente, bisogna porsi le giuste domande.
«Noi dobbiamo chiederci come, politicamente, possiamo controllare e implementare i processi di digitalizzazione in maniera di non minare la solidarietà sociale, non favorire l’esclusione sociale, non indebolire la partecipazione democratica. E su come mettere un freno all’abuso di potere digitale da parte di attori pubblici e privati», rivela Mariangela Wallimann-Bornatico, presidente di Caritas Svizzera.

Ridefinire la nozione giuridica del lavoro
Il Forum Caritas si è soffermato sulla sfida che la digitalizzazione pone in relazione all’ambito lavorativo. Il campo di applicazione del diritto del lavoro deve essere ridefinito, ha sottolineato Aurélien Witzig, collaboratore scientifico alle università di Neuchâtel e Ginevra. Se la prestazione di lavoro e la remunerazione sono gli elementi fondamentali della definizione legale del lavoro, altri criteri entrano in gioco, come il legame di subordinazione, il potere della sanzione, la dipendenza economica, l’integrazione nell’azienda, la messa a disposizione del tempo. Nel quadro di una relazione di lavoro con aziende dell’economia digitale, come ad esempio l’azienda di trasporto Uber, essi devono essere presi in considerazione.
Sulla stessa linea, la distinzione legale fra lavoratori dipendenti e indipendenti con dei diritti e dei doveri differenti, in particolare in materia di protezione sociale, è ancora pertinente? Non bisognerebbe sviluppare una protezione universale? Il reddito di base incondizionato è una delle risposte. Non convince però Aurélien Witzig, che preferisce l’introduzione di un prelievo sociale da destinare alla formazione, al riorientamento professionale, alla creazione di un’azienda. Le convenzioni collettive di lavoro esistenti in Svizzera dovrebbero essere i luogi privilegiati per gestire le mutazioni generate dalla digitalizzazione. Non si applicano sfortunatamente a tutti i settori, né a tutte le aziende, si rammarica il ricercatore.

Un altro campo d’azione deve essere il diritto internazionale. Si tratta di lottare contro il turismo fiscale e legale delle aziende che si insediano là dove la legislazione è a loro più favorevole. «I trattati dell’Organizzazione mondiale del commercio non parlano di lavoro, ma esclusivamente di commercio», si stupisce Aurélien Witzig. Un adeguamento della legislazione è dunque necessario e possibile.

L’evoluzione digitale non è «naturale»
Vania Alleva, presidente del sindacato UNIA, afferma che l’evoluzione digitale non è naturale, ma è frutto della volontà e della produzione umana: «Vogliamo concepire il mondo del lavoro in una prospettiva neo-liberale orientata alla massimizzazione del profitto per gli azionisti, a scapito della vita sociale? O vogliamo una digitalizzazione sociale orientata verso il bene comune e fondata sulla giustizia, la solidarietà e le pari opportunità?»
È difficile fare delle proiezioni sull’evoluzione del mercato del lavoro legate alla digitalizzazione. Vania Alleva si rifiuta d’essere allarmista. Dei posti di lavoro spariranno (la SECO parla dell’11%), ma ne saranno creati altri. Tutto ciò che potrebbe essere automatizzato, non lo sarà per forza. Il principio dovrebbe essere che il guadagno in produttività realizzato grazie all’automatizzazione ricada sui lavoratori sotto forma di aumenti salariali, riduzione del tempo di lavoro e vacanze supplementari. Bisogna prestare attenzione al mantenimento e allo sviluppo delle assicurazioni sociali, ad assicurare una migliore protezione contro il licenziamento, in particolare dei lavoratori più anziani

La flessibilità temporale e spaziale derivante dalla digitalizzazione comporta degli aspetti positivi, riconosce Vania Alleva: diminuzione degli spostamenti, migliore conciliabilità fra lavoro e vita famigliare, autonomia più grande per i lavoratori. L’importante è che questo guadagno non venga annullato da una precarizzazione del lavoro, da una pressione sui salari, dallo sviluppo del lavoro su chiamata e del subappalto grazie alle piattaforme informatiche.
La digitalizzazione rappresenta anche un grande potenziale per migliorare i processi di lavoro, alleggerire le mansioni ripetitive, preservare la salute dei lavoratori, sviluppare la collaborazione interna e la soddisfazione sul lavoro. Ma anche qui, le cose possono degenerare verso un eccessivo controllo, in fonte di stress e di frustrazione, fino alla manipolazione e alla discriminazione.
Il ruolo dei sindacati è anche rimesso in causa. In un’industria digitalizzata, è più difficile per i lavoratori riunirsi in sindacato per difendere collettivamente i propri diritti. Le grandi multinazionali non hanno considerazione per i sindacati. I partenariati sociali sono minacciati. Questi elementi dimostrano la necessità di una nuova regolamentazione del lavoro affinché non ci siano più perdenti che vincenti, conclude Vania Alleva.

(da cath.ch)

29 Gennaio 2019 | 13:04
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