Card. Zenari: in Siria segni di «miglioramento», ma i cristiani continuano a soffrire

Nelle ultime settimane a Damasco e in altre zone della Siria sembra esserci «un calo delle violenze», che al momento «si concentrano a Raqqa e nelle altre aree della provincia» dove sono in atto «pesanti combattimenti». Un altro settore critico è «l’area a sud, al confine con la Giordania», per il resto «sembra esservi un miglioramento». È quanto racconta ad AsiaNews il card. Mario Zenari, nunzio apostolico a Damasco, in questi giorni in Italia dove incontrerà, la prossima settimana, anche papa Francesco il quale ha sempre mostrato particolare attenzione per la «amata e martoriata Siria». In questo contesto, prosegue il porporato, «la situazione dei cristiani è di sofferenza generale e trasversale» che comprende «tutta la popolazione», sebbene in questo contesto «i gruppi minoritari, compresi i cristiani, sono quelli più a rischio».

Secondo un rapporto pubblicato di recente, fino all’80% della popolazione cristiana originaria ha abbandonato in questi anni l’Iraq e la Siria, a causa della guerra e dell’escalation dei movimenti estremisti di matrice islamica. E con il trascorrere del tempo la comunità cristiana sembra perdere sempre più la speranza di poter tornare. Una parte ha trovato rifugio nelle nazioni dell’area – Libano e Giordania su tutte – in condizioni spesso di precarietà. Altri sono emigrati in Europa, Stati Uniti, Canada e Australia, le principali nazioni della diaspora. Alla base dell’esodo vi sarebbero l’alto costo della vita, la mancanza di lavoro e di opportunità educative, la distruzione delle cittadine cristiane e la perdita del senso di comunità.

«Le statistiche in Medio oriente sono sempre difficili da valutare o commentare – afferma il card. Zenari – ma un dato fra i più attendibili è quello riguardante Aleppo, dove si ha un riscontro oggettivo per quanto concerne la presenza cristiana e il fenomeno migratorio. Dagli ultimi dati emerge che fino ai due terzi dei cristiani se ne sono andati» alla ricerca di pace e sicurezza. Per quanto concerne la Siria, aggiunge, sembra che «quasi la metà» della popolazione originaria abbia trovato riparo e accoglienza all’estero, soprattutto negli altri Paesi della regione e in Europa. A dispetto delle difficoltà, secondo il porporato la comunità cristiana in Siria resta una «realtà attiva, sia dal punto di vista pastorale che a livello di fede. La pratica della vita cristiana e la fede restano sono un sostegno per affrontare le difficoltà. Inoltre, essa ha saputo mantenersi dinamica sul piano umanitario». Nel contesto siriano, una nazione a maggioranza musulmana e in guerra dal marzo 2011, «sono le opere più delle parole a testimoniare l’appartenenza religiosa. In questo senso Aleppo rappresenta un modello, con la comunità cristiana che ha sempre mantenuto un criterio di responsabilità verso una realtà martoriata dalle violenze».

Se chi è rimasto rappresenta un testimone della fede e dell’insegnamento di Cristo, resta pur sempre aperta la «ferita» della migrazione: «Chi può – racconta il card. Zenari – ancora oggi cerca di partire. In Siria vi sono più di cinque milioni di rifugiati, un milione di persone ha cercato riparo in Europa. Quella della migrazione è una delle bombe più devastanti che hanno investito il Paese; le partenze hanno lasciato dei vuoti enormi, nella società e nella Chiesa». Il problema riguarda in particolare «i giovani, con un impoverimento generale». A questo si aggiunge la ormai cronica «mancanza di specialisti, di figure essenziali come dottori, ingegneri. Si stima – aggiunge – che il 90% dei medici siriani sia fuggita oltreconfine negli ultimi sei anni». Da qui l’appello lanciato dal cardinale per un «duplice aiuto» ai cristiani rimasti in Siria: «Da un lato – spiega – il sostegno economico, cercando di trovare loro un lavoro, aiutandoli a pagare l’affitto, la scuola per i bambini, le spese mediche. Dall’altro vi è poi la necessità di un aiuto spirituale, di modo che possano continuare ad adempiere la loro missione e il loro impegno civico nella terra in cui sono nati. Vanno aiutati a proseguire nella loro opera di testimoni di Cristo in un Paese a maggioranza musulmana».

In questo contesto sono fonte di ulteriore preoccupazione le gravi crisi che coinvolgono in maniera più o meno diretta anche la Siria e rischiano di far esplodere la polveriera mediorientale. Ultima in ordine di tempo la feroce controversia in atto fra Riyadh e Doha, con l’accusa al Qatar di  sostenere movimenti terroristi islamici e, soprattutto, di mantenere rapporti diplomatici e commerciali con l’Iran, nemico numero uno dei sauditi in Medio oriente. «Quello che è evidente – conclude il porporato – è che la Siria sta soffrendo da anni, a causa di una guerra per procura dietro la quale vi sono forti interessi regionali e globali. Oggi sul territorio si contano almeno sette o otto bandiere [di nazioni] diverse, a conferma della complessità di una guerra che da rivolta civile si è trasformata presto in una guerra per procura di portata internazionale».

(Asianews)

19 Giugno 2017 | 12:00
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