Chiesa

Benedetto e gli altri Papi, la Chiesa imparziale (ma non neutrale)

Prima di Benedetto, ci fu Pio. Il grido solitario contro «l’inutile strage» che Papa Giacomo Della Chiesa levò inascoltato cento anni fa mentre la Grande Guerra mieteva vittime su vittime, segna l’inizio del magistero di pace dei Pontefici del Novecento ma ha avuto un precedente poco conosciuto. Prima di Benedetto XV infatti vi fu Pio IX, che il 29 aprile 1848 si chiamò fuori dal partecipare alla guerra contro l’Austria con il suo esercito – allora i Papi ancora ne avevano uno – dicendo: «Noi abbracciamo tutte le genti, popoli e nazioni con pari studio e paternale amore».

All’epoca la marcia indietro di Papa Mastai fu vissuta dai risorgimentali come un tradimento. Era in realtà il germe di un atteggiamento nuovo, quello dell’imparzialità (da non confondere con neutralità), che avrebbe avuto inizio proprio con il famoso e inascoltato appello del 1917. Da allora in poi, di fronte all’evidenza di armamenti sempre più potenti e dei massacri che coinvolgono in modo sempre più massiccio la popolazione civile, i Papi hanno iniziato a elaborare vere e proprie «offensive di pace», nel tentativo di scongiurare le guerre o per circoscriverne i danni.

C’è un filo rosso che lega gli interventi papali per la pace a partire da Benedetto XV fino ai giorni nostri. Questo filo rosso non riguarda soltanto i contenuti di fondo, che vedono la Santa Sede impegnata per favorire soluzioni negoziali, per cercare di evitare i conflitti o, una volta che questi sono scoppiati, tentando di salvare il maggior numero possibile di vite umane e dunque tenendo aperti canali di dialogo con tutte le parti coinvolte. C’è anche una continuità fatta di uomini.

Uno dei principali collaboratori di Benedetto XV al tempo della «Nota di Pace» fu infatti monsignor Eugenio Pacelli. Nel 1939, appena divenuto Pio XII, Pacelli tentò di bloccare la Seconda Guerra Mondiale. Il 24 agosto di quell’anno, quando i carri armati di Adolf Hitler stavano per invadere la Polonia, Pio XII pronuncia un famoso radiomessaggio e dice: «Nulla è perduto con la pace, tutto può esserlo con la guerra!». Rimarrà anch’egli inascoltato. Per quel discorso, rispetto a varie proposte che gli erano arrivate sul tavolo, Papa Pacelli aveva scelto la bozza redatta dall’allora Sostituto della Segreteria di Stato, quel Giovanni Battista Montini che divenuto Paolo VI si sarebbe trovato a dover fronteggiare la guerra in Vietnam tra spinte interventiste e movimenti pacifisti spesso succubi dell’Unione Sovietica.

A Giovanni XXIII, il primo a scrivere un’enciclica interamente dedicata alla pace (Pacem in terris) andò meglio in occasione della crisi dei missili di Cuba, nell’ottobre 1962, perché in quel caso nessuno dei due contendenti voleva andare realmente fino in fondo. E qui emerge un altro dato di cui tener conto: per avere qualche speranza di successo, è necessario che gli appelli per la pace dei Papi vengano fatti propri da qualcuno degli influenti attori in campo. Lo si è visto anche nel caso di Giovanni Paolo II. Il suo ruolo venne esaltato durante gli anni Ottanta per la lotta al comunismo, quando gli Usa di Ronald Reagan spingevano per una «santa alleanza» con il Vaticano.

Ma appena due anni dopo la caduta del Muro di Berlino, quando Wojtyla chiese di non fare la prima Guerra del Golfo, le potenze occidentali che fino a poco tempo prima pendevano dalle labbra del Pontefice venuto d’Oltrecortina semplicemente lo ignorarono. Lo stesso accadde nel 2003, quando già vecchio, tremante e malato, Giovanni Paolo II supplicò quei «giovani» leader europei e americani che non avevano conosciuto come lui l’orrore dell’ultimo conflitto mondiale, chiedendo loro di non muovere di nuovo guerra a Saddam Hussein. Ancora una volta venne snobbato.

Benedetto XVI, che di Papa Della Chiesa ha perpetuato il nome, si è trovato di fronte alla «guerra asimmetrica» perpetrata dal terrorismo fondamentalista e nel suo primo messaggio per la Giornata mondiale della pace del gennaio 2006 ha rivolto un appello per il disarmo nucleare, ricordando che «in una guerra nucleare non vi sarebbero dei vincitori, ma solo delle vittime» e invitando sia «i governi che in modo dichiarato o occulto possiedono armi nucleari, sia quelli che intendono procurarsele» a invertire insieme la rotta.

Infine Francesco, che non ha mancato di approfondire ulteriormente la linea dei predecessori esponendosi con iniziative quali la lettera a Putin del 2013 per evitare i bombardamenti in Siria, accompagnata da un digiuno per la pace, ma che ha anche coniato l’espressione «terza Guerra Mondiale a pezzi», affermando che i tanti conflitti, quelli noti e quelli dimenticati, sono come tessere di un puzzle che diventano sempre più grandi e ci portano verso il baratro del conflitto totale. La peculiarità del Papa argentino sta nell’aver sempre insistito, nei suoi messaggi e interventi, sulla piaga del traffico di armamenti e degli inconfessabili ed enormi interessi economici che lo accompagnano.

(Andrea Tornielli / Vatican Insider)

18 Luglio 2017 | 09:46
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