Benedetta Bianchi Porro.
Chiesa

Benedetta Bianchi Porro, il fratello Corrado: «Abbiamo ricevuto una grazia immensa»

Due donne laiche italiane saranno presto elevate agli onori degli altari. Si tratta di Edvige Carboni e Benedetta Bianchi Porro; il Papa ha autorizzato la Congregazione per le Cause dei Santi, durante un’udienza con il cardinale prefetto Angelo Becciu, a promulgare alcuni decreti che riconosce il miracolo che porterà alle loro beatificazioni.

Benedetta Bianchi Porro ha vissuto solo 27 anni soffrendo malattie sempre più gravi. Nata a Dovadola, in provincia di Forlì, l’8 agosto 1936, fu colpita da poliomelite da bambina; la malattia le segnerà per sempre la mobilità con una gamba che resterà più corta dell’altra, handicap che le valse il soprannome de «la zopetta». La disabilità, tuttavia, non ha mai fermato la futura beata vissuta tra le difficoltà della Seconda Guerra mondiale che la spinse ad abbandonare anche la casa natale. Nel 1949 alle problematiche nel camminare inizia a manifestarsi il problema all’udito, che progressivamente andrà perdendo, e anche dei problemi alla schiena che la costringono a portare un busto. Nonostante tutto la giovane Benedetta prosegue con impegno e buoni risultati la sua formazione scolastica: conclude le superiori ormai sorda e con difficoltà motorie, ma intraprende la facoltà di Medicina a Milano, dove fu accolta con diverse resistenze da alunni e professori. Uno in particolare – si racconta nella biografia – durante un esame prese il suo libretto e lo gettò via, dicendo: «Non si è mai visto un medico sordo». Per tutta risposta la ragazza recuperò il libretto scusandosi con il docente per «averlo offeso». Nel 1957, a soli 21 anni, la giovane riuscì a diagnosticare la terribile malattia che l›ha colpita: neurofibromatosi diffusa, intanto subisce una delicata operazione alla testa per l’asportazione di una forma tumorale al nervo acustico che le lascia paralizzata metà parte del viso. Viene operata una seconda volta e un’altra ancora, nell’agosto del 1959, ma alla spina dorsale. Quest’ultimo intervento ha un esito drammatico: la paralisi degli arti inferiori che la costringerà a letto per il resto della sua vita. A poco a poco perde il gusto, il tatto, l’odorato. Lei non perse mai la fede in Dio e affidò a Lui tutte le sofferenze, arrivando a dire, in occasione di un viaggio a Lourdes nel 1962: «Ho fatto voto che mi farò suora in caso di guarigione, ma il criterio di Dio supera il nostro ed Egli agisce sempre per il nostro bene». Nel 1963 nuove operazioni e il dramma: il 28 febbraio Benedetta diventa cieca, che unisce alla sordità e alla immobilità. Con l’alfabeto muto delle mani continuerà a dettare lettere ai suoi amici. Il suo calvario si conclude il 23 gennaio 1964. Viene dichiarata venerabile nel 1993.  

Suo fratello Corrado Bianchi Porro, già giornalista del Giornale del Popolo, da noi contattato la ricorda così:

«Si parlava della sua santità da tanto tempo, anche se la santità non è qualcosa che si acquisisce né per sangue né per eredità; il suo è stato uno sforzo eroico. Uno degli ultimi messaggi che Benedetta ha consegnato prima di morire a nostra madre è il «Racconto del mendicante e del re» di Tagore:

Ero andato mendicando di uscio in uscio lungo il sentiero del villaggio, quando in lontananza mi apparve il tuo aureo cocchio, simile ad un sogno meraviglioso.

Mi domandai: chi sarà mai questo Re di tutti i re? Crebbero le mie speranze, e pensai che i giorni tristi sarebbero ormai finiti; stetti ad attendere che l’elemosina mi fosse data senza doverla chiedere, e che le ricchezze venissero sparse ovunque nella polvere.

Il cocchio mi si fermò accanto; il Tuo sguardo cadde su di me, e Tu scendesti con un sorriso. Sentivo che era giunto alfine il momento supremo della mia vita.

Ma Tu, ad un tratto, mi stendesti la mano destra dicendomi: «Che cos’hai da darmi?».

Ah, quale gesto veramente regale fu quello di stendere la Tua palma per chiedere l’elemosina ad un povero! Esitante e confuso, trassi lentamente dalla mia bisaccia un acino di grano e Te lo porsi.

Ma quale non fu la mia sorpresa quando, sul finire del giorno, vuotai a terra la mia bisaccia e trovai nell’esiguo mucchietto di acini, un granellino d’oro!

Piansi amaramente per non aver avuto cuore di darTi tutto quello che possedevo…

Chi ha speso, ha consumato; chi ha raccolto, ha perduto; ma chi ha dato, ha messo in salvo per sempre i suoi tesori.

«Benedetta – aggiunge il fratello – non ha dato soltanto un acino al Re, ma se stessa e anche noi che le siamo stati accanto abbiamo avuto la soddisfazione di non aver dato niente e aver ricevuto solo una grazia immensa; è questo che ci da il nostro Re».

(red)

Benedetta Bianchi Porro.
10 Novembre 2018 | 19:18
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