Beatificazione di padre Unzeitig, il Massimiliano Kolbe dei tedeschi

La Chiesa ha un nuovo Beato: è il sacerdote tedesco Engelmar Unzeitig, dei Missionari di Mariannhill, morto nel 1945 nel campo di concentramento nazista di Dachau a soli 34 anni. Ha presieduto il rito nella città di Würzburg, in Baviera, il cardinale Angelo Amato, prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi. Il servizio di Sergio Centofanti:

Padre Engelmar (nato nel 1911 nell’odierna Repubblica Ceca) voleva partire missionario per il mondo: è diventato missionario nel lager di Dachau. Ordinato sacerdote a 28 anni, nel 1939, sceglie come motto sacerdotale: «Se nessun altro vuole andare, andrò io!». Svolge il suo ministero in Austria. Incurante dei rischi, denuncia nelle sue omelie il regime nazista. Viene arrestato e deportato nel 1941 a Dachau: qui saranno uccisi oltre 1000 sacerdoti e religiosi cattolici, ma tra le vittime ci sono anche pastori protestanti e preti ortodossi. Si prende cura dei prigionieri, in particolare dei russi: impara la loro lingua, li assiste materialmente e spiritualmente. Scoppiato il tifo, i malati vengono abbandonati in una baracca, dove nessuno pensa di andare: lui ci va, aiuta come può e alla fine viene contagiato e muore. E’ il 2 marzo 1945. Il giorno prima aveva compiuto 34 anni. E’ stato sacerdote sei anni, 4 dei quali passati nel lager.

In una lettera scrive: «Qualunque cosa facciamo, qualunque cosa vogliamo, è sempre e solo la grazia che ci guida e ci porta. La grazia di Dio onnipotente ci aiuta a superare ogni ostacolo. L’amore duplica le nostre forze, ci rende fantasiosi, contenti e liberi. Se solo la gente sapesse che cosa Dio ha in serbo per quelli che Lo amano!». Padre Unzeitig è il primo Missionario di Mariannhill ad essere beatificato.

Sulla figura di questo Beato ascoltiamo il cardinale Angelo Amato al microfono di Roberto Piermarini:

R. – Padre Unzeitig appare come una scintilla di autentica umanità nella notte buia del terrore nazista. Egli mostra che nessuno può estirpare la bontà dal cuore dell’uomo. Il suo martirio ci consegna un triplice messaggio di fede, di carità e di fortezza. Ancora oggi, come ai tempi di Padre Engelmar, la Chiesa di Cristo viene discriminata, perseguitata e umiliata. E questo non solo in partibus infidelium, ma anche nella nostra Europa, spesso dimentica del suo patrimonio di civiltà cristiana. La fede, invece, era per Padre Unzeitig il bene supremo e il tesoro più prezioso. Viveva il suo status di prigioniero sempre unito a Dio, nella preghiera, nella gioia e nella disponibilità costante ad amare, aiutare, consolare il prossimo. Santa Messa, adorazione eucaristica, recita del rosario scandivano i tempi liberi della sua faticosa giornata.

D. – Cosa dire a proposito della sua carità?

R. – Il Beato Engelmar, amando Dio con un amore totalizzante, era misericordioso e caritatevole con coloro che, come lui, soffrivano per gli stenti e le umiliazioni della prigionia. Per dare consolazione ai prigionieri russi tradusse gran parte del Nuovo Testamento in russo per riaccendere la loro fede. Con la sua presenza affabile e piena di bontà dava speranza ai prigionieri oppressi e disperati del lager. Assisteva gli ammalati gravi accompagnandoli con affetto materno fino alla fine. Con lui la morte diventava un passaggio sereno verso l’eternità. Il suo supremo gesto d’amore fu la volontaria offerta di assistere e curare i malati di tifo a Dachau. Contagiato, morì abbandonato e senza poter ricevere le cure adeguate.

D. – Cosa dire a proposito della sua fortezza d’animo?

R. – Nonostante l’esperienza disumana del lager, egli si mantenne paziente e ilare, cercando di tenere alto nei prigionieri il sentimento di dignità e di umanità. La sua condizione era da lui considerata come uno status onorifico, un privilegio per testimoniare l’amore a Cristo. La sua forza d’animo suscitava ammirazione e dava a tutti il respiro per continuare a sopportare una situazione senza speranza. «Era l’amore fatto persona», disse di lui Padre Adalbert Balling. Altri chiamano il nostro Beato, il martire della carità, il Massimiliano Kolbe dei tedeschi. Il suo martirio risponde alla parole di Gesù che dice: «Nessuno ha un amore più grande di colui che dà la sua vita per i suoi amici» (Gv 15,13). Il Beato Engelmar Unzeitig apre uno spiraglio di luce sull’identità di quella porzione del popolo tedesco che, per rimanere fedele al Vangelo, subì anch’esso persecuzione e morte.

(Da Radio Vaticana)

26 Settembre 2016 | 09:27
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