Mons. José A. Divassón: missionario in Amazzonia tra gli Yanomani

In queste tre settimane di Sinodo a Roma, tante le testimonianze dei missionari e delle figure molto spesso di origini europee che da anni operano nei Paesi dell’Amazzonia, evangelizzando e vivendo a stretto contatto con gli indigeni locali. Missioni sicuramente non semplici da avviare e da gestire, caratterizzate da villaggi distanti chilometri l’uno dall’altro, da lingue diverse e spesso sconosciute, da una povertà disarmante e da ingiustizie che sembrano ancora troppo spesso dominare sulle politiche locali. Tutte tematiche affrontate durante questo Sinodo appena concluso che ha aiutato tutta la Chiesa ma non solo, a fare luce su una zona del mondo tanto importante ma ancora troppo sconosciuta. Tra queste voci, testimoni di una Chiesa che si spende per gli ultimi, vi è stata quella di monsignor José Ángel Divassón Cilveti, padre salesiano, spagnolo di nascita ma venezuelano di adozione, vicario apostolico emerito di Puerto Ayacucho. La comunità salesiana, a cui appartiene mons. Cilveti, è presente fra gli Yanomami, lungo la frontiera fra Brasile e Venezuela, dal 1957. Un’azione missionaria, la loro, che in un primo periodo ha risentito di un certo carattere paternalista e sacramentalista, ovvero quello di una Chiesa austera e chiusa in sé stessa; poi il Concilio, come spesso si è sentito ripetere in queste settimane, ha aperto una nuova stagione nella quale la Chiesa si è aperta alla popolazione degli Yanomami, decidendo di condividere con loro la vita della comunità. Obiettivo principale era quello di aiutare la popolazione a prendere in mano il proprio futuro: così negli anni, la missione di mons. Cilveti, si impegna a promuovere l’educazione, a dare vita ai progetti che rendessero gli indigeni economicamente indipendenti, a dare importanza alla difesa dei loro diritti. Un’evangelizzazione che passa dunque prima dall’educazione, dall’aiutare la gente locale ad avviare una propria strada. Mons. Cilveti e gli altri missionari comprendono quindi che per evangelizzare è necessario conoscere gli Yanomami, i loro sentimenti, i loro sogni. All’assemblea sinodale, racconta che «col primo gruppo, il cammino di preparazione è andato avanti per nove anni. Alcuni hanno lasciato. Altri sono arrivati al battesimo e sono stati il seme di una Chiesa Yanomami». Questo perché hanno capito che «il Vangelo non toglie niente alla loro identità. Il cristianesimo conserva il buono che c’è in ogni cultura aiutando, al contempo, i popoli a crescere. Gli Yanomami, ad esempio, si sono resi conto che il valore evangelico del perdono consentiva loro di risolvere in modo più efficace i conflitti». Negli anni mons. Cilveti comprende che è necessario investire energie sulla formazione di ogni singola persona, proprio perché è in ogni individuo che si deve investire per il futuro della popolazione, per lo sviluppo della vita sociale ed ecclesiale. Una testimonianza, quella di mons. José Ángel Divassón Cilveti che concretizza quella «Chiesa in uscita» tanto sognata ed esortata da papa Francesco; una Chiesa missionaria divenuta negli anni vera alleata della popolazione.

Silvia Guggiari

2 Novembre 2019 | 18:37
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