Commento

Alfie Evans e i nostri cuori anestetizzati/catt.ch/gdp

La drammatica vicenda di Alfie Evans, il bambino gravemente malato che – contro il fermissimo volere della famiglia – giudici britannici e medici dell’Alder Hey Hospital di Liverpool hanno deciso di far morire, sta avendo un effetto che profuma di miracolo. E non mi riferisco, in questo caso, all’esito che la storia potrà avere. Penso piuttosto a tutto quello che sta provocando in ognuno di noi. O almeno in tutti coloro (e sono tanti) che sono disposti a farsi toccare il cuore. Non in modo sentimentale o superficiale, ma struggente, concreto. Perché in un mondo che ci invita a non pensare a nulla, a non porci troppi interrogativi, a preferire il quieto vivere, testimonianze come quella di Alfie e dei suoi genitori irrompono nella nostra vita come un terremoto. Scuotono le nostre esistenze fino a toccare quel punto irriducibile, nel cuore di ognuno di noi, dove – magari assopiti, anestetizzati, chiusi a chiave – albergano i nostri desideri più profondi di bene, di bello, di vero. Di fronte all’evidente ingiustizia di uno Stato che si erge a padrone della nostra vita, davanti all’incredibile lotta di un padre e di una madre (per giunta giovanissimi) che in fondo non chiedono altro che lasciare che il loro pargoletto possa continuare a vivere finché il Signore (e non un giudice o un medico) lo vorrà, e ancor di più di fronte all’audace attaccamento alla vita dello stesso Alfie (che ieri, dopo essere stato staccato dal respiratore che secondo i medici lo teneva in vita, ha continuato a respirare per conto proprio), nessuno può restare indifferente.

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25 Aprile 2018 | 14:52
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AlfieEvans (9), vita (45)
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