Ticino e Grigionitaliano

Al Bigorio in 200 per le porte aperte

Le opere di fra Roberto Pasotti, la cappella del Botta – opera giovanile di quando il famoso architetto era ancora studente a Venezia – ma anche il fatto di essere uno dei conventi più antichi dell’Ordine dei cappuccini: sono tante le informazioni che si intersecano, nella visita guidata al Convento del Bigorio, che nella giornata di domenica ha attirato in Val Capriasca quasi 200 persone per le porte aperte, in occasione della festa dell’Immacolata, patrona dell’Ordine. Situato nel cuore della pieve ambrosiana di Capriasca a 725 msl/m il Bigorio rimane uno dei Conventi più antichi al mondo dell’Ordine dei Cappuccini. A partire dal 1542 e per sei volte si tennero i capitoli provinciali di Milano. La chiesa venne consacrata da san Carlo Borromeo nel 1577. Aperto al pubblico nel 1967 rimane ancora oggi una casa di accoglienza e formazione.

E ad accogliere i pellegrini ieri, fra Michele Ravetta, guardiano del Convento: «È stato molto coraggioso da parte dei frati che ci hanno preceduto costruire questi spazi in questo luogo». Il riferimento è alla zona impervia, ma anche al fatto che il Convento sorge pochissimi anni dopo la fondazione dello stesso Ordine. «Nostro padre Francesco non ha mai voluto fondare alcun ordine, l’unica indicazione ricevuta da Roma era di «vivere discretamente». Ma già nel 1524 sorgono i Frati minori conventuali, posti a custodia dei luoghi in cui Francesco ha vissuto. Nel 1528, poi, la nascita dei frati cappuccini, con una vocazione specificamente eremitica all’interno dello stesso Ordine. Padre Pacifico De Carli, di condizione muratore, originario di Lugano, entrato nell’Ordine dei Cappuccini a Roma nel 1530, quando nel 1535 dà avvio alla costruzione della prima casa religiosa dell’Ordine nell’attuale Svizzera compie un atto profetico», sottolinea fra Michele.

Fra Michele guarda favorevolmente all’apertura verso i pellegrini che caratterizza oggi il Convento: «È merito di padre Callisto se oggi abbiamo fatto del Bigorio una Casa e un luogo di accoglienza. Se lo avessimo fatto solo ora sarebbe tardi, perché in questi ultimi decenni si è creato un tessuto insostituibile, retto dalla voglia di stare insieme, il che fa la forza del Bigorio». E di bellezze da mostrare ai suoi visitatori e amici il Bigorio ne ha tante: seduti negli stalli settecenteschi dell’antico coro, i gruppi convenuti ieri hanno potuto ammirare antichi salteri, il crocifisso del Giunta Pisano, della scuola del Cimabue – «un unicum in Svizzera» ricorda fra Michele – le opere del Petrini. Della Madonna del Bigorio, invece, presenti due versioni, una esposta in chiesa sull’altare maggiore, l’altra conservata nell’adiacente museo del Convento: «Un’opera interessantissima, che racchiude anche dei segreti, visibili solo ad uno sguardo attento. Sullo sfondo scorgiamo infatti una scena tratta niente meno che da un Vangelo apocrifo,», fa notare fra Michele. È l’episodio del campo arato dai contadini che vengono interrogati dai soldati di erode. Copie della Madonna del Bigorio sono conservate all’Ermitage a San Pietroborugo, al British di Londra, alla Cattedrale di Tenerife; «in tutto non più di nove».

Colpiscono l’attenzione dei visitatori, in una saletta del museo, anche gli oggetti usati anticamente dai frati, dal setaccio per ostie che permetteva al celebrante di assicurarsi di non perdere alcun frammento di eucaristia, ai fagioli neri e bianchi che «ancora oggi permettono ai frati di votare segretamente. Simboleggiano il fatto che siamo un ordine democratico, dove nessuna carica è per sempre. Tutto si svolge tramite elle elezioni democratiche: decidere se un confratello debba diventare sacerdote o chi debba detenere la carica di Superiore; tutto passa da una votazione comune». Nelle salette del Museo adiacente la sacrestia anche diverse opere restaurate nel tempo: oggi il Convento le fa conoscere alla popolazione tramite l’iniziativa «Musica dipinta», due o tre volte l’anno.

Durante la seconda parte della visita affidata invece a fra Ugo Orelli, spazio anche per la commozione, quando ad esempi viene spiegata la funzione delle celletta numero 13: «Per i malati i frati avevano inventato un ingegnoso meccanismo che portasse l’acqua della fonte più vicina direttamente nella celletta; poi un pertugio nel muro permetteva di seguire la Messa nella Chiesa anche dal proprio letto. L’idea era che il frate malato non si isolasse dalla comunità». A consolare il frate malato anche una vista stupenda sul luganese, il Mendrisiotto e, nelle giornate di bel tempo, sulle Alpi italiche. Da ultimo, Luca Albinola, ha portato i visitatori negli spazi più nuovi della struttura come le diverse sale onferenze, che ogni anno ospitano centinaia di partecipanti per i molteplici corsi – dalla meditazione all’arte – che il Convento organizza.

Laura Quadri

10 Dicembre 2019 | 08:09
Tempo di lettura: ca. 3 min.
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